Buon pomeriggio, amici.
In questi giorni vi ho trascurato perché ho dato spazio ad
altre forme di creatività che mi hanno distratto: in particolare, ho tentato di
sperimentare, con successi alterni, nuove ricette consone alla dieta che sto
seguendo. Nel frattempo, però, mi sono dedicata alla lettura di un romanzo che
ho acquistato per sbalgio, in un negozio di elettrodomestici, allettata da una
copertina molto bella, assai furba, e da un segnalibro altrettanto accattivante
con un dipinto di Boldini in primo piano e la promessa di uno sconto all’ingresso
della mostra sullo stesso artista che si terrà a Forlì la prossima primavera.
Voglio perciò parlarvi di “Un favoloso appartamento a Parigi”
della scrittrice statunitense Michelle Gable edito dalla casa editrice Newton
Compton per la collana “anagramma” e tradotto da Francesca Noto.
Cronaca di una delusione annunciata. Oggi sarò un pochino
antipatica – perdonatemi - ma sono arrabbiata con me stessa.
La prossima volta sarò meno avventata negli acquisti, giuro!
Non si può comprare un libro perché ci piace l’involucro. E non si può comprare
un libro il cui colore prevalente è il rosa o il fucsia senza comprendere che
si finirà invischiati in un romanzo sentimentale, romantico e molto kitsch. Esattamente
quel genere di cose che l’Infeltrita si era riproposta di non leggere mai: il feuilleton!
Sono contenta, ad ogni modo, di redigere oggi la recensione e
di mettere un punto conclusivo a questa esperienza.
Non saprei davvero a chi consigliare il romanzo, anche se
navigando qui e là in Rete, mi sono accorta che il romanzo è piaciuto e che in
America ha venduto un cospicuo numero di copie. Mah.
Incipit
“Voleva soltanto andarsene dalla città.
Quando il capo le si avvicinò furtivamente e pronunciò le parole «appartamento»,
«Nono Arrondissement» e «una tonnellata di robaccia del diciannovesimo secolo»,
April pensò subito: «vacanza». Ci sarebbe stato da lavorare, certo, ma non
aveva importanza, sarebbe andata a Parigi. E come sapeva ogni scrittore, poeta,
pittore e, sì, anche i valutatori di mobili, era il luogo perfetto per una fuga.”
L’Infeltrita
“Un meraviglioso appartamento a Parigi” intreccia i luoghi
comuni sulla Francia e sulla sua capitale alla storia di April Vogt, un’
esperta di mobili europei che lavora per una casa d’aste.
April è una donna in fuga dai suoi problemi esistenziali e
coniugali che troverà, in un appartamento favoloso al Nono Arrondissement di
Parigi, un vero e proprio tesoro, nonché un rifugio dove smarrirsi e ritrovare la
vera se stessa.
Perdonerà il marito
che l’ha tradita? Lo tradirà a sua volta? Divorzieranno? Ricominceranno da zero?
Su questi interrogativi pende la conclusione del romanzo. E se non vi interessa,
lasciate stare la lettura, il resto è solo un riempitivo.
I mobili antichi e i pezzi di pregio, che si affastellano
disordinatamente in quelle che sembrano vere e proprie stanze delle meraviglie,
nascondono una storia ancora più preziosa e affascinate: la vita e le peripezie
di Marthe de Florian, originaria proprietaria dell’appartamento, figlia illegittima
di Victor Hugo, cortigiana maliziosa e ricca di amanti illustri, innamorata del
pittore Giovanni Boldini, di cui sarà la musa. April scoprirà quasi subito il ritratto di Marthe
realizzato da Boldini, la donna in abito rosa leggermente scarmigliata che
sorride e guarda altrove, e i suoi numerosi diari su cui si riverserà l’avida
curiosità della protagonista, attratta dalle avventure e dagli amori della demi modaine, che si presenta subito
come una vera icona di stile ai tempi della Belle Epoque.
Il lettore si troverà di fronte a un romanzo nel romanzo e
oscillerà costantemente fra il tempo di April e delle sue indecisioni (il suo
matrimonio al bivio, un passato doloroso e mai affrontato, un flirt parigino) e quello di Marthe che,
tuttavia, non riesce a non sembrare una ricostruzione posticcia e un po’
disneyana dell’epoca d’oro dei caffè e degli artisti. Gli amanti di Marthe sono
poeti, pittori, artisti da strapazzo e fra loro c’è persino un Dandy che vorrebbe
essere la controfigura del Des Esseintes di Huysmans, ma che di fatto
non ne ha né lo spessore né la carica di trasgressione né il benché minimo accenno
di quel languore decadente e malato che lo hanno reso un personaggio gigantesco
e indimenticabile. In compenso, questo demi-Dandy ha rubato al suo modello la
tartaruga dal guscio incastonato di gemme. Che tristezza!
La struttura narrativa è solida, tutto si incastra alla
perfezione senza sbavature, ma l’insieme è artificioso e le due storie sono intrise
di sentimentalismo, con dialoghi fitti e banali, pieni di Uhm, Uh, Uhmm e di francesismi spruzzati qui e là a mo’ di vezzo. Molti
i passaggi che ho reputato di cattivo gusto, non per eccesso di pruderie, ma perché fuori da un contesto
grottesco, ironico o espressionistico risultavano essere solo grossolane cadute
di stile, espressione di un rapporto con la sessualità piuttosto
pre-adolescenziale.
Le lettrici forse dovrebbero sognare accompagnando April nel
suo lento avvicinamento a Luc Threbault, il legale che rappresenta i
proprietari dell’appartamento. Luc è ovviamente burbero, sulle prime,
intrigante, onnipresente, galante al momento opportuno e…fidanzato di un’altra.
Eccolo il suo ritratto preciso: “Era attraente in modo inquietante, quell’uomo,
attraente al modo degli europei troppo magri, ma comunque attraente. Sì, era un
po’ viscido e la quantità di peluria che si intravedeva sul suo petto al di sotto della camicia sbottonata faceva
pensare che avesse bisogno di una ceretta”. Per quel che mi riguarda, già
la parola ceretta associata a un personaggio di sesso maschile in un romanzo
che pretende di parlare di sentimenti basta a squalificarne del tutto la
lettura e a favorire un senso di nausea da cui ancora non mi sono ripresa. Tentazione
e adulterio sono serviti su un piatto d’argento, è chiaro sin dalle prime
battute dei due personaggi. Del resto, che romanzo d’appendice sarebbe?
Peccato per la storia di Marthe che si perde in un intrico
genealogico e in una carrellata di pettegolezzi, come in una telenovelas in costume, di quelle che
tuttora piacciono tanto.
Quattrocentotrenta pagine sono troppe per le altalene
sentimentali di una donna in crisi. E anche per organizzare un’asta
straordinaria. O per svelare un mistero che poco aggiunge alla storia.
L’editore ha curato moltissimo l’involucro dell’opera
puntando a una copertina a effetto, a un formato piacevole da maneggiare, utilizzando
carta spessa e profumata, delizia per animi romantici. Il marketing ha gabbato
anche me, lo confesso. All’interno, però, la cura non è stata altrettanto
efficace. In più punti vi sono parole mancanti della desinenza, refusi e un “tutt’ora”
che da prof. non posso tralasciare!
Zoom
Del verosimile e dei conti che non tornano.
April Vogt compie trentacinque anni a pagina 255 ed è una
affermata valutatrice di mobili antichi. Si sente e agisce come una donna di
mezza età, navigata, stanca del suo matrimonio che dura da sette anni (si è dunque
sposata a ventotto anni) con un ricchissimo speculatore di Wall Street,
conosciuto in aeroporto mentre stava per abbandonare Parigi a seguito del fallimento
del museo privato che gestiva.
Faccio i conti: April gestisce un museo privato prima dei suoi ventotto anni. Non
sappiamo quanto sia durata questa esperienza, ma dal modo in cui la donna parla
di Parigi, sicuramente più di un anno. Facciamo due o tre. Non sappiamo quanto
sia durato il fidanzamento tra April e il futuro marito, fingiamo che sia
durato pochissimi mesi: bene, April dai 24 ai 27 anni gestisce un Museo a
Parigi e non è sposata. Si è fatta da sola, non ha alle spalle una famiglia
facoltosa né studi particolarmente prestigiosi (perlomeno non ci viene raccontato)
dispone solo di molta passione per l’arte.
Capperi. Chiedetelo ai laureati in Archeologia o in Beni
Culturali se hanno mai sentito parlare di una cosa del genere nella nostra
vecchia Europa.
Al più a 24 anni, se ti va bene, in un museo puoi fare da guida e, se
sei proprio fortunato, non per volontariato.