Amici, lo so che un Blog dovrebbe essere sempre “sul pezzo”,
come ama ripetere la retorica del cattivo giornalismo
televisivo. E cioè cercare le novità in libreria, le anteprime e i best seller
del momento. Cavalcare le notizie più attuali.
Oggi non obbedirò a questo dictat perché ho deciso di recensire un libro letto qualche anno
fa.
Ci sono temi che, in certi momenti, si ripropongono con
insistenza e di fronte ai quali non resta che capitolare affrontandoli di petto.
La PERIFERIA. Come raccontarla? Perché raccontarla?
Dalle borgate celebrate da Pasolini come sede della vita
nella sua forma più pura e selvaggia, agli articoli di cronaca di questi
giorni, dalla rapida visita al quartiere Tamburi di Taranto, lo scorso mercoledì,
alla canzone di Mario Venuti “Ventre della città” che mi piace moltissimo,
dalla mia esperienza di insegnante in una scuola di periferia in un quartiere
definito “a rischio”, alle proiezioni mentali di tutti i più noti sobborghi del
degrado italiano che di tanto in tanto si affacciano nella coscienza collettiva
come scenario di miseria morale e materiale su cui si vorrebbe chiudere gli
occhi. Tutto congiura affinché io oggi vi parli di un romanzo che metta al
centro (scusate per l’involontario ossimoro) la periferia industriale,
meschina, dove tra ferocia e cemento si consumano vite ingloriose e dure.
Ho scelto “Acciaio” di Silvia Avallone, edito da Rizzoli nel
2010, perché è il romanzo che più si avvicina all’esperienza di periferia che,
direttamente o indirettamente, ho vissuto. E poi perché di recente l’ho
consigliato a una collega che mi chiedeva qualche titolo da proporre in una
seconda liceo e, temendo di averle dato un suggerimento azzardato, me lo sono
riletto in fretta e furia a caccia di conferme. Adesso, lo ribadisco con
convinzione: “Acciaio” è un libro che consiglierei agli studenti e dal quale
partirei per una vera e propria tempesta di interpretazioni e di confronto su
temi scomodi. Per esempio, la discriminazione del debole e del diverso, sentita come “naturale” nella logica di adolescenti privi di un
orizzonte valoriale, di riferimenti affettivi, di prospettive materiali.
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Cover edizione "Vintage" di Rizzoli |
Incipit
“Nel cerchio sfocato della lente la figura si muoveva appena, senza
testa.
Uno spiccio di pelle zoomata in controluce.
Quel corpo da un anno all’altro era cambiato, piano, sotto i vestiti. E
adesso nel binocolo, nell’estate, esplodeva.
L’occhio da lontano brucava i particolari: il laccio del costume, del
pezzo di sotto, un filamento di alghe sul fianco. I muscoli tesi sopra il
ginocchio, la curva del polpaccio, la caviglia sporca di sabbia. L’occhio
ingrandiva e arrossiva a forza di scavare nella lente.
Il corpo adolescente balzò fuori dal campo e si gettò in acqua.”
L’Infeltrita
Trovo l’incipit violento. L’occhio che guarda, che spia, coinvolge
il lettore in un voyerismo brutale. Lo
sguardo ossessivo e patologico seziona il corpo adolescente e ne profana l’esplosione,
l’attimo di massimo splendore in cui, abbandonata l’infanzia, la bellezza risplende
freschissima e precede il lento processo
di sfioritura. L’occhio che fruga, di cui nostro malgrado diventiamo complici,
è quello un padre ossessionato dalla propria figlia a cui vorrebbe impedire
qualunque contatto col mondo esterno, considerandola “cosa” di sua proprietà. La
possessività resta sospesa su una linea ambigua che spiega solo in parte la sua
curiosità morbosa. Ogni pomeriggio dalla finestra di una casa popolare, Enrico tiene
d’occhio con un cannocchiale Francesca e la sua amica Anna.
Siamo in via Stalingrado, a Piombino.
Francesca e Anna hanno
quattordici anni. Nell’estate che segna la fine della scuola media e l’inizio
di un futuro che le vuole troppo precocemente donne, la massima espressione di
libertà che viene loro concessa è un tuffo in mare e l’esibizione dei corpi
perfetti in una spiaggia affollata da coetanei. La spiaggia senza pretese, non
particolarmente pulita, che si apre proprio di fronte ai casermoni di via
Stalingrado sembra essere l’unica via di fuga a un paesaggio arido e oppressivo
- correlativo oggettivo di una vita altrettanto priva di prospettive. L’orizzonte
verso cui convogliano sogni e progetti è l’Isola d’Elba che appare in lontananza,
e sembra a portata di mano e al contempo irraggiungibile. Così il futuro e il
riscatto sociale. In cui nessuno sembra credere per davvero.
Acciaio è la storia di una periferia operaria dove il lavoro
nell’acciaieria è una condanna, un inferno da cui si può tornare abbruttiti o da
cui si può non tornare affatto. Essa giganteggia sulle vite di tutti i
personaggi della storia e assume, nelle descrizioni della Avallone, fattezze
mostruose. Scenario di tragedie annunciate. Sebbene dia lavoro a tutti gli
abitanti del quartiere e rappresenti il destino certo della sua popolazione
maschile, la fabbrica viene percepita come una terra nemica, inquinata, da
derubare, sfidare, dimenticare a colpi di musica sparata a mille watt, storditi
dall’alcol, dalla droga, dal sesso comprato a buon mercato in un sudicio privè.
Eppure la periferia industriale con i suoi impianti incombenti, con le sue regole, le leggi non scritte, sembra essere
l’unico universo possibile, impossibile da mutare. Spazio dilatato e, al
contempo, chiuso, ripiegato su se stesso, in cui tutte le strade sembrano
condurre in fabbrica. E la fabbrica è padrona.
Anna e Francesca attraversano l’estate con la leggerezza
dell’incoscienza, con la crudeltà della bellezza che è il loro unico tesoro,
saldate in un’amicizia destinata a perdersi, che solo a quattordici anni può
essere assoluta, latrice di entusiasmi incontenibili e di tragedie
irrimediabili. In loro, ritroviamo i codici impietosi dell’adolescenza sbandata,
priva di riferimenti affettivi stabili, frutto di famiglie sgangherate e di un
contesto urbano degradato, il cui traguardo più ambito è riuscire a partecipare
a una festa al pattinodromo e il successo si misura dal numero di sguardi che
si appuntano sulle canottiere strizzate.
Spicca tra numerosi personaggi che ruotano intorno alle due
amiche, Alessio, il fratello di Anna. Un ragazzo bello e bruciato (dalla fabbrica, dalla vita,
dalla delusione).
Egli rappresenta la generazione immediatamente precedente a
quella delle due amiche. La generazione dei fratelli maggiori è invecchiata presto
e non se ne è accorta, appare appannata, sull’orlo della disillusione completa; ricerca emozioni forti senza accorgersi di essere già fallita, passata. È lo
spettro di quello che potrebbe accadere ad Anna e Francesca, quando l’estate
della loro gioventù perfetta passerà. Alessio è il personaggio che preferisco.
Aggressivo, stordito, disperato, costretto dalle regole sociali a mascherare la
propria sensibilità. In lui vediamo l’operaio del Duemila, fuori da ogni
ideologia, privo di consapevolezza, lontano dal marxismo, ipnotizzato
dal mito del denaro, del consumismo sfrenato.
Il romanzo mi è piaciuto perché personaggi come Anna e
Francesca mi sembra di averli conosciuti sui banchi della scuola media che ho
frequentato, diversi anni or sono, e su quelli di fronte a cui mi trovo
quotidianamente. Nei templi dei sogni impossibili, delle amicizie esclusive,
dove vige la legge del più forte, refrattaria a qualunque sforzo educativo (e
perciò sfida improcrastinabile di qualunque insegnante!), le ragazze si dividono
in belle e “racchie” e i ragazzi appaiono privi di alfabetizzazione
sentimentale.
Il tempo della storia è un presente che sembra scivolare nell’attimo
stesso della narrazione veloce, incalzante, aggressiva come si può notare dall’incipit
- un biglietto da visita che non viene tradito. La scrittura è caratterizzata
da paratassi e strutture ellittiche. Nei dialoghi troviamo il parlato
giovanile, i luoghi comuni, le parolacce, i diminutivi.
Silvia Avallone viene spesso citata come esempio di una
nuova generazione di scrittori, rea di sciatteria stilistica. Io non sono d’accordo.
Trovo, invece, potenti e icastici alcuni passaggi.
Alcuni difetti: forse la struttura complessiva del romanzo
sembra sbriciolarsi in molti episodi col rischio di perdere di vista la
maturazione dei caratteri principali. Forse l’evoluzione dell’amicizia delle
due ragazze, la brusca divergenza delle loro storie può apparire irragionevole,
poco approfondita.
In ogni caso, l’insieme è riuscito e oggi mi resta l’affresco
di una periferia brulicante di vita, tragica e troppo spesso dimenticata.
Zoom
C’è un momento della narrazione in cui mi è sembrato che
Silvia Avallone sia riuscita con particolare efficacia a raccontare il senso
tragico del tempo che fugge, della bellezza meravigliosa che ora c’è e fra poco
appassirà, il culmine di un’estate fantastica: è il racconto del 15 agosto e
della festa al pattinodromo in cui si ritrovano “tutti ma proprio tutti”. Il giro di boa.
Per Francesca e Anna la festa rappresenta l’ingresso
ufficiale nel mondo dei “grandi”, per Alessio è il momento della nostalgia e
della disillusione definitiva, per Lisa la “racchia” il momento del riscatto,
della reazione contro tutto e tutti, per “le
ragazze magre e slanciate, che poco importa cosa combineranno nella vita, perché
nell’istante giusto dell’adolescenza sono lì: al centro della pista, nel pieno
della festa, sotto i riflettori. È un istante impagabile di gloria”. Tutti “vogliono crederci, che quello era il
massimo. Si convincevano, ognuno nella sua testolina, che quella era la vita
perfetta”. Una festa scalcagnata e decadente.
L’episodio rappresenta meglio
di altri passaggi la chiusura di orizzonte, l’incapacità di guardare al futuro,
di oltrepassare il presente, l’hic et
nunc, di cercare un’alternativa e un altrove.
Per molti di questi personaggi la sconfitta è qui.
Quanti di voi hanno già letto Acciaio?
Siete fra quelli che lo hanno apprezzato o fra i lettori più
critici?
Lo presentereste a una classe? E con quali modalità (lettura
libera, lettura guidata, lettura con dibattito e domande)?
Ammetto di non averlo letto. Nella tua recensione c'è grande profondità e partecipazione emotiva. Un abbraccio! (Forse meglio una lettura con dibattito)
RispondiEliminaNon tutti lo apprezzano, in realtà. Ho letto molte critiche, di varia natura. Io mi sento di consigliarlo ai ragazzi (scuola superiore, non media) proprio per provocare una discussione. Gli adulti non so quanto e se potrebbero gradirlo.
EliminaQuesto libro mi ispira da sempre ma non ho ancora trovato il momento per leggerlo.
RispondiEliminaIn compenso sto terminando Ciò che inferno non è di Alessandro D'Avenia! Mi auguro si legga nelle scuola
E' vero, ci sono libri che continuano a sfuggirci sebbene siano in lista da tempo...a me sta capitando con Splendore della Mazzantini.
EliminaAspetto intanto di leggere la tua recensione al libro di D'Avenia...
La recensione è online!
EliminaSplendore l'ho letto ma non ancora recensito, è molto particolare come tutti i libri della Mazzantini. Mi è piaciuto anche se mi ha un po' lasciata perplessa il finale.
Corro a leggere la recensione su D'Avenia, allora!
EliminaSplendore aspetterà ancora un po'...non ha trovato posto (per mera casualità) nemmeno negli ultimi acquisti.