Ho letto al volo un giallo di Gianrico Carofiglio, trovato
in giro per casa: Una verità mutevole, edito da Einaudi Stile Libero Big
(giugno 2014).
Mi ha colpito una noticina a caratteri minuti fra le
pagine di guardia: “Edizione realizzata in collaborazione con l’Ente editoriale
dell’Arma dei Carabinieri in occasione del Bicentenario dei Carabinieri”. L’autore
non è tra i miei preferiti, ma anni fa ho apprezzato Il passato è una terra
straniera, un noir ambientato in una Bari notturna e cupa, molto diversa da
quella allegra e chiassosa che allora frequentavo quotidianamente con la
spensieratezza della studentessa universitaria innamorata dei colori delle
vetrine e delle bancarelle del centro (incensi, bracciali, anelli, sculture in
legno, diari, specchi, sciarpe, occhiali, cappelli.)
Incipit
“Cardinale Lorenzo detto ‘u tuzz
– cioè la «testata» - era un rapinatore, specializzato in banche e uffici
postali. Lui e i suoi complici avevano una tecnica efficace: rubavano un’auto
di grossa cilindrata, o addirittura un camion; aspettavano l’orario di chiusura
al pubblico, quando le casseforti erano aperte, i sistemi di sicurezza da tempo
disattivati e gli impiegati contavano il denaro. Allora lanciavano l’auto – o il
camion – a marcia indietro contro la vetrina blindata, la sfondavano, entravano
armi in pugno, prendevano il denaro e andavano via. Ovviamente con una macchina
diversa.”
L’Infeltrita
Una mutevole verità è un romanzo breve e asciutto, un poliziesco
classico che procede senza sbavature dalla registrazione di un omicidio alla
risoluzione del caso. Nel cuore della storia il messaggio è subito dichiarato: la
verità è ricerca, è uno scavo che richiede pazienza, attenzione ai dettagli ma
non al superfluo. Quando la verità è troppo evidente bisogna alzare la guardia.
Proprio allora, infatti, c’è il rischio di un pericoloso abbaglio.
L’indagine è condotta dal maresciallo dei carabinieri Pietro
Fenoglio. Nomen omen dicevano gli
antichi e lui, in ossequio all'illustre cognome, ama leggere, frequenta librerie
e ascolta musica classica, vorrebbe studiare lettere e prima o poi lo farà.
Fenoglio è un uomo attento, di grande umanità, capace di
tenersi discosto dalla violenza che il suo mestiere gli pone davanti, sia essa frutto
di un reato, sia essa metodo d’indagine usato e abusato dai colleghi. Non ha
pregiudizi Fenoglio, perciò non si fida delle apparenze. E se l’istinto lo
porta a dubitare di qualcosa o di qualcuno non lo asseconda alla cieca, ma
prova a mettere in discussione l’impalcatura di certezze razionali che ha
costruito, ne saggia la tempra. Se l’edificio tiene la certezza è fondata, se
scricchiola, l’istinto ha avuto ragione e bisogna cercare nuove piste, altre
tracce; Fenoglio non si tira indietro. È un buon carabiniere, di quelli che
chiunque si augurerebbe di incontrare davanti. Sembrano capirlo tutti, persino
i pregiudicati.
Nelle ultime pagine, come un’ombra, fa la sua comparsa una
vecchia conoscenza dei lettori di Carofiglio: l’avvocato Guerrieri,
protagonista di molti altri romanzi. Qui è una comparsa, quasi una citazione,
eppure sembra avere il merito indiretto di portare l’assassino alla
confessione.
Sullo sfondo c’è Bari: i luoghi, però, scorrono senza
ingombrare. Non sono protagonisti. Qui c’è via Sparano, lo shopping, le
vetrine, i profumi delle signore. Lì il Petruzzelli ancora in piedi. La chiesa
russa, qualche parola su San Nicola da Mira. Siamo alla fine degli anni
Ottanta, pochi passaggi ce lo dicono: la Ritmo del maresciallo, i cappotti dalle ampie
spalline, il profumo Poison di Dior. Nulla
che ecceda. Nulla che indulga verso un lirismo puramente ornamentale. La storia potrebbe essere ambientata a Roma o a Firenze o a Vercelli, resterebbe in piedi perfettamente.
Lo stile ha la puntualità dei verbali. La scelta dei sostantivi
e dei verbi affonda in un italiano standard quasi asettico. Aggettivi e avverbi
hanno una funzione informativa, giammai espressiva: non servono a emozionare,
ad abbellire, a colorire, a enfatizzare. Solo a precisare. La scrittura è in
funzione della storia che deve emergere - come emerge! - in primo piano, nitida
e chiara.
Lo consiglio a chi NON ama libri lunghi, trame complesse,
colpi di scena fini a se stessi.
Zoom
Sulle prime il romanzo mi è sembrato un po’ anemico. Freddo.
“Le date, i nomi, i luoghi indicati in questo romanzo sono
di fantasia. I fatti sono realmente accaduti, altrove”. La lettura di questa
postilla mi ha, in parte, rassicurato. Ho avuto la sensazione che Carofiglio
abbia voluto raccontarci un pezzo di cronaca, camuffato. Se è così lo scuso. Viceversa
avrei chiesto alla sua penna una sforzo immaginativo più grande - e più calore. Un personaggio come Pietro Fenoglio non glielo avrebbe di certo impedito.
Un bel po' di tempo fa ho letto "L'arte del dubbio" di Gianrico Carofiglio e credo di capire cosa intendi con "lo stile ha la puntualità dei verbali" e "ho avuto la sensazione che Carofiglio abbia voluto raccontarci un pezzo di cronaca, camuffato". Penso che faccia parte della sua deformazione professionale da magistrato e siccome spesso mi piace avvicinarmi ad una scrittura di tipo tecnico, penso che aggiungerò "Una mutevole verità" fra i libri da leggere.
RispondiEliminaIo a volte lo trovo troppo freddo, ma la struttura delle storie è ineccepibile e quindi lo consiglio!
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