domenica 19 ottobre 2014

L'eleganza del riccio. Paradiso dei lettori.

L’eleganza del riccio di Muriel Barbery è un romanzo molto amato da chi ama i libri. L’Infeltrita non fa eccezione. L’ho letto cercando disperatamente di non concluderlo troppo presto, mettendo in campo molte strategie, inutili quanto varie: lunga contemplazione della copertina, lettura ad alta voce a ritmo lento, trascrizione di passi, pause di riflessione.
Adorazione pura: che sia un ritorno d’adolescenza? Non so, ma trovo che l’ edizione e/o dell’aprile 2014 sia bellissima ed estremamente curata: un vero e proprio invito a saggiare la consistenza del volumetto, ad accarezzarne la sovra copertina azzurra e, all’interno, le pagine piuttosto spesse e ruvide. Chiari ed eleganti i caratteri, capilettera essenziali, impaginazione vagamente retrò. Tutto sembra congiurare allo scopo di catturare l’attenzione del bibliofilo, quello fanatico e un po’ nostalgico che si profonde in crociate e filippiche contro l’avvento dell’e-book. Un’edizione che piacerebbe molto, per esempio, ai personaggi di questo romanzo, come avrete modo di capire a breve.
La sovra copertina azzurra mostra, sullo sfondo, l’elegante portone di un palazzo cittadino e, in primo piano, una ragazzina dai lunghi capelli rossi e un vestito a quadroni rosa. Rosa è anche il colore del titolo. La copertina rigida, sotto, è blu carta da zucchero di tono leggermente più scuro. Nulla è lasciato al caso, neppure la decisione di utilizzare due caratteri di stampa diversi per segnalare graficamente la presenza di due voci diverse: quella di Renée, la portinaia e quella di Paloma, una dodicenne dall’intelligenza superiore alla media. Le due voci hanno, inoltre, due diverse traduttrici: Cinzia Poli per Renée ed Emanuelle Caillat per Paloma.
Confesso che il concorso di tutti questi dettagli ha di gran lunga contribuito ad infiammare il mio innamoramento un po’ puerile per il romanzo.
Ho ceduto, mio malgrado, alle lusinghe del marketing.
Incipit
«Marx cambia completamente la mia visione del mondo» mi ha dichiarato questa mattina il giovane Pallières che di solito non mi rivolge nemmeno la parola.
Antoine Pallières, prospero erede di un’antica dinastia industriale, è il figlio di uno dei miei otto datori di lavoro. Ultimo ruttino dell’alta borghesia degli affari – la quale si riproduce unicamente per singulti decorosi e senza vizi -, era tuttavia raggiante per la sua scoperta e me la narrava di riflesso, senza sognarsi neppure che io potessi capirci qualcosa. Che cosa possono mai comprendere le masse lavoratrici dell’opera di Marx? La lettura è ardua, la lingua forbita, la prosa raffinata, la tesi complessa.
A questo punto, per poco non mi tradisco stupidamente.
«Dovrebbe leggere L’ideologia tedesca» gli dico a quel cretino in montgomery verde bottiglia.
L’Infeltrita
Due voci. Due personaggi femminili sui generis. Due solitudini che si intersecano per caso, rompendo il volontario e ostile isolamento dal mondo in cui si sono rinchiuse.
Siamo a Parigi in rue  de Grenelle, al numero 7.
Renée è la portinaia dell’ elegante palazzo in cui abitano ricchi industriali, ministri, critici, alta borghesia e vecchia nobiltà che condividono atteggiamenti di ipocrisia e di boria classista. Lo sa bene Renée, da tutti loro snobbata e strapazzata senza troppi infingimenti. Del resto, all’apparenza, è una portinaia che bene risponde al cliché: trasandata, inacidita, col televisore acceso a volume altissimo e sintonizzato sempre su qualche programma demenziale.
Paloma è una dodicenne inquieta, completamente ignorata e incompresa dai suoi coetanei e dalla sua famiglia. Secondogenita di un ministro che non brilla certo per acume, ha pianificato di mettere fine alla propria vita, perché disgustata dall’ottusità di chi la circonda. Nessuno sembra essersi accorto delle sue doti intellettive, superiori alla media, di cui ella è invece ben consapevole.
Nessuno, del resto, si è accorto della recita di Renée, la portinaia. Che nel mistero della sua casa, fra mille accortezze, legge di nascosto Kant, Hegel, Proust, Husserl e si commuove di fronte a film di registi giapponesi, da cinefila consumata e avidissima. Raffinata intellettuale, nauseata dall’ignoranza che i suoi “datori di lavoro” neppure si rendono conto di sbandierare al mondo sotto il peso dei titoli e dei gioielli che ostentano, trascorre la vita “mascherata” da portinaia, con atteggiamento di assoluto rifiuto della vita e di misantropia non nascosta.
Renée e Paloma sono due facce dello stesso tipo: l’intellettuale che rifiuta di scendere a patti con la terra, che preferisce rimanere appartato e difendere la propria purezza nascondendola con ogni mezzo. Quello che sceglie di uscire di scena, rinunciando alla vita perché troppo corrotta. Guardano il mondo con occhio critico, a volte spietato ma non fanno nulla per cambiare ciò che non funziona. Denunciano la volgarità dei nuovi e dei vecchi ricchi, ma di fatto restano nell’ombra, consolandosi e beandosi nel proprio autocompiacimento.
Certo, sono eleganti. Hanno la capacità di commuoversi per la scena di un film che la massa troverebbe noioso e incomprensibile, amano la letteratura al punto da chiamare Lev il gatto, in onore di Tolstoj, sono capaci di grandi evoluzioni cerebrali. Ma sono anche acuminate e spigolose come ricci, refrattarie al contatto, all’amore verso gli altri perché imperfetti. Si sentono migliori, e se non lo mostrano, è perché vivere in incognito sembra sublimare ancor più il proprio bisogno di eccezionalità.
All’improvviso nel palazzo di rue de Grenelle, 7 arriva un nuovo inquilino e sia Renée che Paloma sono costrette a rompere il  muro che hanno eretto e a interagire con lui e tra loro. Monsieur Ozu è un ricco giapponese, colto e raffinato. È lui, l’intellettuale veramente magnanimo, curioso verso il mondo e innamorato dell’essere umano nelle sue molte sfaccettature. Sarà un’ondata di aria fresca, una vera rivoluzione nell’empasse.

Il lettore ama di questo romanzo l’omaggio che continuamente le due protagoniste fanno alla letteratura. Si rispecchia nella libro-mania di Renèe, nei suoi vezzi, nel suo snobismo un po’ presuntuoso. Apprezza il linguaggio della portinaia, l’assoluta devozione alla grammatica, il lessico ricercato, il periodare fluente, l’ironia sempre un po’ cattivella verso il volgo. Si compiace e si auto-compiace in questi personaggi. Fa il tifo per Paloma, per le sue capacità critiche, per il suo essere autenticamente ribelle. E spera, fino alla fine, che si salvi dalla misantropia.
È una forma di rispecchiamento subdolo e senza scampo.
Non bisogna tuttavia perdere la lucidità: analizziamo i limiti.
Mi sono chiesta, infatti, quanto una storia del genere possa essere verosimile. E quanto risulti credibile il personaggio di Renèe. Potrebbe davvero una portinaia erudita e imbevuta di filosofia dissimulare così bene la propria cultura? E perché, poi? Potrebbe, da autodidatta (con gli studi fermi alla quinta elementare) raggiungere la capacità di leggere Heidegger e di confutarlo? La vita ha in sé grandi sacche di imprevisto e di meraviglioso, direbbe Antonio Moresco, molto più di certa letteratura piattamente “realistica”, ma nel profondo non ne sono del tutto persuasa.
Questo romanzo mi piace perché mi fa sognare a occhi aperti, celebra la lettura (che è la mia più grande passione), riscatta gli ultimi (la portinaia, l’adolescente incompresa), deride l’èlite della società mettendone a nudo difetti e pochezza, dà speranza alla cultura: ma quanto, quanto siamo lontani dalla realtà?
Del resto, solo la discesa, dall’alto di un deus ex machina, riesce a smuovere la lenta moria di Renèe e Paloma. La maturazione dei due personaggi avviene perché innescata dall’esterno, da avvenimenti casuali e, nel caso della portinaia, anche tardivi.
In ogni caso, è un romanzo che consiglio. Godurioso. Ben scritto. Ben strutturato.

Zoom
A proposito di rispecchiamenti…
Vi propongo un passo in cui mi riconosco e in cui vedo lo spirito dell’Infeltrita. Che è una lettrice amatoriale, appassionata, non professionista. Un credo che sottoscrivo insieme a tutti i dubbi e i limiti che un dilettante non smette di sollevare.
Ho letto tanti libri….
Eppure, come tutti gli autodidatti, non sono mai sicura di quello che ho capito. Un giorno mi sembra di abbracciare con un solo sguardo la totalità del sapere, come se all’improvviso invisibili ramificazioni nascessero, e intrecciassero fra loro tutte le mie letture sparse – poi subito il senso scivola via, l’essenziale mi sfugge, e per quanto rilegga le stesse righe ogni volta mi appaiono più inafferrabili, mentre io mi vedo come una vecchia pazza che crede di avere la pancia piena soltanto perché ha letto attentamente il menù. Pare che questa competenza di talento e cecità sia il tratto distintivo dell’autodidatta. Pur privando il soggetto della guida sicura che ogni buona formazione fornisce, gli dona tuttavia libertà e capacità di sintesi del pensiero, laddove i discorsi ufficiali frappongono barriere e vietano l’avventura.
Che dire di più?
Per stasera niente, vi saluto così.




2 commenti:

  1. Ciao!
    Ho sentito parlare di questo libro sia molto bene che molto male.
    Da questo ho capito che è uno di quei libri che dividono molto nel giudizio. O lo si ama o lo si odia.
    Aspetto a dire cosa ne penso, perché prima voglio leggerlo. Comunque accetto il tuo consiglio e credo che lo leggerò molto presto ^-^

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    1. Ciao e benvenuta! Fammi sapere cosa ne pensi.
      Anche io ho letto alcune recensioni un po' critiche.
      Qualche limite nel libro l'ho trovato, però complessivamente mi è piaciuto. Spesso lo rileggo in maniera confusa e casuale. Non mi capita spesso, nemmeno con romanzi che ho apprezzato più di questo. Credo che, al di là della storia e dei personaggi, mi conquisti l'alta considerazione della cultura (tradizionale) che emerge praticamente da ogni pagina...

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