domenica 16 novembre 2014

Acciaio di Silvia Avallone. Viaggio in periferia.

Amici, lo so che un Blog dovrebbe essere sempre “sul pezzo”, come ama ripetere la retorica del cattivo giornalismo televisivo. E cioè cercare le novità in libreria, le anteprime e i best seller del momento. Cavalcare le notizie più attuali.
Oggi non obbedirò a questo dictat perché ho deciso di recensire un libro letto qualche anno fa.
Ci sono temi che, in certi momenti, si ripropongono con insistenza e di fronte ai quali non resta che capitolare affrontandoli di petto. 
La PERIFERIA. Come raccontarla? Perché raccontarla?
Dalle borgate celebrate da Pasolini come sede della vita nella sua forma più pura e selvaggia, agli articoli di cronaca di questi giorni, dalla rapida visita al quartiere Tamburi di Taranto, lo scorso mercoledì, alla canzone di Mario Venuti “Ventre della città” che mi piace moltissimo, dalla mia esperienza di insegnante in una scuola di periferia in un quartiere definito “a rischio”, alle proiezioni mentali di tutti i più noti sobborghi del degrado italiano che di tanto in tanto si affacciano nella coscienza collettiva come scenario di miseria morale e materiale su cui si vorrebbe chiudere gli occhi. Tutto congiura affinché io oggi vi parli di un romanzo che metta al centro (scusate per l’involontario ossimoro) la periferia industriale, meschina, dove tra ferocia e cemento si consumano vite ingloriose e dure.
Ho scelto “Acciaio” di Silvia Avallone, edito da Rizzoli nel 2010, perché è il romanzo che più si avvicina all’esperienza di periferia che, direttamente o indirettamente, ho vissuto. E poi perché di recente l’ho consigliato a una collega che mi chiedeva qualche titolo da proporre in una seconda liceo e, temendo di averle dato un suggerimento azzardato, me lo sono riletto in fretta e furia a caccia di conferme. Adesso, lo ribadisco con convinzione: “Acciaio” è un libro che consiglierei agli studenti e dal quale partirei per una vera e propria tempesta di interpretazioni e di confronto su temi scomodi. Per esempio, la discriminazione del debole e del diverso, sentita come “naturale” nella logica di adolescenti privi di un orizzonte valoriale, di riferimenti affettivi, di prospettive materiali. 
Cover edizione "Vintage" di Rizzoli

Incipit
Nel cerchio sfocato della lente la figura si muoveva appena, senza testa.
Uno spiccio di pelle zoomata in controluce.
Quel corpo da un anno all’altro era cambiato, piano, sotto i vestiti. E adesso nel binocolo, nell’estate, esplodeva.
L’occhio da lontano brucava i particolari: il laccio del costume, del pezzo di sotto, un filamento di alghe sul fianco. I muscoli tesi sopra il ginocchio, la curva del polpaccio, la caviglia sporca di sabbia. L’occhio ingrandiva e arrossiva a forza di scavare nella lente.
Il corpo adolescente balzò fuori dal campo e si gettò in acqua.

L’Infeltrita
Trovo l’incipit violento. L’occhio che guarda, che spia, coinvolge il lettore in un voyerismo brutale. Lo sguardo ossessivo e patologico seziona il corpo adolescente e ne profana l’esplosione, l’attimo di massimo splendore in cui, abbandonata l’infanzia, la bellezza risplende freschissima e precede il lento processo di sfioritura. L’occhio che fruga, di cui nostro malgrado diventiamo complici, è quello un padre ossessionato dalla propria figlia a cui vorrebbe impedire qualunque contatto col mondo esterno, considerandola “cosa” di sua proprietà. La possessività resta sospesa su una linea ambigua che spiega solo in parte la sua curiosità morbosa. Ogni pomeriggio dalla finestra di una casa popolare, Enrico tiene d’occhio  con un cannocchiale Francesca e la sua amica Anna.
Siamo in via Stalingrado, a Piombino
Francesca e Anna hanno quattordici anni. Nell’estate che segna la fine della scuola media e l’inizio di un futuro che le vuole troppo precocemente donne, la massima espressione di libertà che viene loro concessa è un tuffo in mare e l’esibizione dei corpi perfetti in una spiaggia affollata da coetanei. La spiaggia senza pretese, non particolarmente pulita, che si apre proprio di fronte ai casermoni di via Stalingrado sembra essere l’unica via di fuga a un paesaggio arido e oppressivo - correlativo oggettivo di una vita altrettanto priva di prospettive. L’orizzonte verso cui convogliano sogni e progetti è l’Isola d’Elba che appare in lontananza, e sembra a portata di mano e al contempo irraggiungibile. Così il futuro e il riscatto sociale. In cui nessuno sembra credere per davvero.
Acciaio è la storia di una periferia operaria dove il lavoro nell’acciaieria è una condanna, un inferno da cui si può tornare abbruttiti o da cui si può non tornare affatto. Essa giganteggia sulle vite di tutti i personaggi della storia e assume, nelle descrizioni della Avallone, fattezze mostruose. Scenario di tragedie annunciate. Sebbene dia lavoro a tutti gli abitanti del quartiere e rappresenti il destino certo della sua popolazione maschile, la fabbrica viene percepita come una terra nemica, inquinata, da derubare, sfidare, dimenticare a colpi di musica sparata a mille watt, storditi dall’alcol, dalla droga, dal sesso comprato a buon mercato in un sudicio privè. 
Eppure la periferia industriale con i suoi impianti incombenti, con le sue regole, le leggi non scritte, sembra essere l’unico universo possibile, impossibile da mutare. Spazio dilatato e, al contempo, chiuso, ripiegato su se stesso, in cui tutte le strade sembrano condurre in fabbrica. E la fabbrica è padrona.
Anna e Francesca attraversano l’estate con la leggerezza dell’incoscienza, con la crudeltà della bellezza che è il loro unico tesoro, saldate in un’amicizia destinata a perdersi, che solo a quattordici anni può essere assoluta, latrice di entusiasmi incontenibili e di tragedie irrimediabili. In loro, ritroviamo i codici impietosi dell’adolescenza sbandata, priva di riferimenti affettivi stabili, frutto di famiglie sgangherate e di un contesto urbano degradato, il cui traguardo più ambito è riuscire a partecipare a una festa al pattinodromo e il successo si misura dal numero di sguardi che si appuntano sulle canottiere strizzate.
Spicca tra numerosi personaggi che ruotano intorno alle due amiche, Alessio, il fratello di Anna. Un ragazzo bello e bruciato (dalla fabbrica, dalla vita, dalla delusione). 
Egli rappresenta la generazione immediatamente precedente a quella delle due amiche. La generazione dei fratelli maggiori è invecchiata presto e non se ne è accorta, appare appannata, sull’orlo della disillusione completa; ricerca emozioni forti senza accorgersi di essere già fallita, passata. È lo spettro di quello che potrebbe accadere ad Anna e Francesca, quando l’estate della loro gioventù perfetta passerà. Alessio è il personaggio che preferisco. Aggressivo, stordito, disperato, costretto dalle regole sociali a mascherare la propria sensibilità. In lui vediamo l’operaio del Duemila, fuori da ogni ideologia, privo di consapevolezza, lontano dal marxismo, ipnotizzato dal mito del denaro, del consumismo sfrenato.
 
Acciaio, trasposizione cinematografica
Il romanzo mi è piaciuto perché personaggi come Anna e Francesca mi sembra di averli conosciuti sui banchi della scuola media che ho frequentato, diversi anni or sono, e su quelli di fronte a cui mi trovo quotidianamente. Nei templi dei sogni impossibili, delle amicizie esclusive, dove vige la legge del più forte, refrattaria a qualunque sforzo educativo (e perciò sfida improcrastinabile di qualunque insegnante!), le ragazze si dividono in belle e “racchie” e i ragazzi appaiono privi di alfabetizzazione sentimentale. 
Il tempo della storia è un presente che sembra scivolare nell’attimo stesso della narrazione veloce, incalzante, aggressiva come si può notare dall’incipit - un biglietto da visita che non viene tradito. La scrittura è caratterizzata da paratassi e strutture ellittiche. Nei dialoghi troviamo il parlato giovanile, i luoghi comuni, le parolacce, i diminutivi.
Silvia Avallone viene spesso citata come esempio di una nuova generazione di scrittori, rea di sciatteria stilistica. Io non sono d’accordo. Trovo, invece, potenti e icastici alcuni passaggi.
Alcuni difetti: forse la struttura complessiva del romanzo sembra sbriciolarsi in molti episodi col rischio di perdere di vista la maturazione dei caratteri principali. Forse l’evoluzione dell’amicizia delle due ragazze, la brusca divergenza delle loro storie può apparire irragionevole, poco approfondita.
In ogni caso, l’insieme è riuscito e oggi mi resta l’affresco di una periferia brulicante di vita, tragica e troppo spesso dimenticata.

Zoom
C’è un momento della narrazione in cui mi è sembrato che Silvia Avallone sia riuscita con particolare efficacia a raccontare il senso tragico del tempo che fugge, della bellezza meravigliosa che ora c’è e fra poco appassirà, il culmine di un’estate fantastica: è il racconto del 15 agosto e della festa al pattinodromo in cui si ritrovano “tutti ma proprio tutti”. Il giro di boa.
Per Francesca e Anna la festa rappresenta l’ingresso ufficiale nel mondo dei “grandi”, per Alessio è il momento della nostalgia e della disillusione definitiva, per Lisa la “racchia” il momento del riscatto, della reazione contro tutto e tutti, per “le ragazze magre e slanciate, che poco importa cosa combineranno nella vita, perché nell’istante giusto dell’adolescenza sono lì: al centro della pista, nel pieno della festa, sotto i riflettori. È un istante impagabile di gloria”. Tutti “vogliono crederci, che quello era il massimo. Si convincevano, ognuno nella sua testolina, che quella era la vita perfetta”. Una festa scalcagnata e decadente. 
L’episodio rappresenta meglio di altri passaggi la chiusura di orizzonte, l’incapacità di guardare al futuro, di oltrepassare il presente, l’hic et nunc, di cercare un’alternativa e un altrove.
Per molti di questi personaggi la sconfitta è qui.

Quanti di voi hanno già letto Acciaio?
Siete fra quelli che lo hanno apprezzato o fra i lettori più critici?
Lo presentereste a una classe? E con quali modalità (lettura libera, lettura guidata, lettura con dibattito e domande)?





6 commenti:

  1. Ammetto di non averlo letto. Nella tua recensione c'è grande profondità e partecipazione emotiva. Un abbraccio! (Forse meglio una lettura con dibattito)

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    1. Non tutti lo apprezzano, in realtà. Ho letto molte critiche, di varia natura. Io mi sento di consigliarlo ai ragazzi (scuola superiore, non media) proprio per provocare una discussione. Gli adulti non so quanto e se potrebbero gradirlo.

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  2. Questo libro mi ispira da sempre ma non ho ancora trovato il momento per leggerlo.
    In compenso sto terminando Ciò che inferno non è di Alessandro D'Avenia! Mi auguro si legga nelle scuola

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    1. E' vero, ci sono libri che continuano a sfuggirci sebbene siano in lista da tempo...a me sta capitando con Splendore della Mazzantini.
      Aspetto intanto di leggere la tua recensione al libro di D'Avenia...

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    2. La recensione è online!
      Splendore l'ho letto ma non ancora recensito, è molto particolare come tutti i libri della Mazzantini. Mi è piaciuto anche se mi ha un po' lasciata perplessa il finale.

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    3. Corro a leggere la recensione su D'Avenia, allora!
      Splendore aspetterà ancora un po'...non ha trovato posto (per mera casualità) nemmeno negli ultimi acquisti.

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