lunedì 10 novembre 2014

Botteghe soffitte e biblioteche. I luoghi delle meraviglie.

Cari lettori,
oggi mentre leggevo “Il cardellino” di Donna Tartt mi sono imbattuta nella descrizione della bottega di un antiquario, un luogo delle meraviglie in cui il protagonista - un orfano contro cui la sorte sembra essersi particolarmente accanita - ritrova pace e voglia di vivere. La bottega è descritta con tutti quegli ingredienti che stuzzicano furbescamente l’immaginazione del lettore facendo leva sul suo bisogno di vivere appartato (late biosas ci insegnavano un tempo al liceo classico), sulla ricerca di un angolo nascosto in cui i rumori e i problemi del quotidiano non riescono ad arrivare.
Gli ingredienti che sembrano solleticare la nostra fantasia sono la penombra, il senso di chiusura rispetto al mondo esterno (come fossimo all’interno di un perimetro sacro), l’accumulo di oggetti, un odore buono, la struttura apparentemente caotica del labirinto in cui l’inquietudine data dalla possibilità di perdersi è mitigata dalla dolcezza dell’arredo.
Vi riporto il passo.
Una giungla di dorature risplendeva nell’ambiente rischiarato dalla luce che filtrava dai vetri sporchi della finestra: putti dorati, cassettoni e candelabri in oro. e – a coprire l’odore del legno antico – un tanfo di trementina, pittura a olio e vernice” “…il labirinto ai piedi delle scale, legno chiaro come il miele, legno scuro come la melassa, bagliori d’oro, d’argento e d’ottone nella luce pallida…
Ho iniziato a ripercorrere con la mente tutti quei luoghi meravigliosi in cui mi sono imbattuta nel corso delle mie letture, quelli che, anche per pochi istanti, mi hanno fatto desiderare fortemente (e talvolta irragionevolmente) di essere al posto del protagonista del romanzo.
Tutti hanno più o meno le stesse caratteristiche della bottega antiquaria descritta da Donna Tartt.
Iniziamo ab ovo.

La tana del coniglio
Se è vero che la mia storia di lettrice nasce quando avevo sette anni da una riduzione per
bambini di “Alice nel Paese delle Meraviglie” che mi fu regalata, si potrà ben capire come il luogo letterario che più mi ha fatto sognare, la più fertile delle immagini, la madre di tutte le fantasie libresche sia senza dubbio la tana del coniglio bianco. Un buco profondissimo, aperto nella corteccia di un albero, in cui la bionda Alice fluttua dolcemente scorgendo nella penombra oggetti di vario tipo: mensole, barattoli di marmellata, carte geografiche, cannocchiali, lampade, quadri, dondoli e sedie, mura vagamente tondeggianti che non disdegnano la carta da parati. Un ambiente inquietante e rassicurante al contempo: ci sono arredi consueti di foggia antica, accatastati come in una soffitta, ma siamo all’interno di un albero e precipitiamo in un pozzo di cui non si vede la fine.
Simile alla tana del coniglio è la casa di Frodo de "Il Signore degli anelli". La trasposizione cinematografica, ahimè, ha preso in ostaggio il mio immaginario, non ricordo più le impressioni che ricavai dalla prima lettura…

Il palazzo labirinto
L’imprinting è ancora in una lettura d’infanzia: “Il giardino segreto”. La storia è ambientata in un castello immerso nella brughiera. La protagonista, orfana e capricciosa, viene adottata da uno zio bizzarro che la ospita in una dimora immensa e lugubre in cui la ragazzina potrebbe perdersi o fare incontri strani se non ci fosse qualcuno sempre pronto a sorvegliarla. Non fu la segretezza del giardino abbandonato a incuriosirmi, ma proprio le peregrinazioni proibite e temerarie della protagonista fra stanze, gallerie e corridoi del palazzo. La mancanza di un centro, l’infinito potenziale che i luoghi labirintici contengono, il senso di chiusura e di ampiezza (un ossimoro architettonico), la possibilità di incontri imprevisti rappresentano per me il concetto più alto di avventuroso. Più della giungla, più di un’isola selvaggia, più di un teatro di guerra.
La scuola mi ha fatto poi scoprire un altro palazzo labirinto, decisamente più raffinato: “Il palazzo di Atlante” in cui i cavalieri dell’Ariosto vagano disperati in cerca dell’uscita, ingannati dall’immagine chimerica dell’oggetto dei propri desideri che li riporta indietro, nel cuore del castello proprio quando sono sul punto di liberarsi.
Fughe di stanze e palazzi senza uscita sono anche in “Orlando” di Virginia Woolf o nella dimora angosciante di Des Esseintes in “A ritroso”.
L’archetipo di tutto questo è nel labirinto del Minotauro e nel palazzo di Cnosso a Creta.
Mi piace scovare radici classiche alle mie fisime letterarie, mi fa sentire meno infantile!!!

La biblioteca labirinto
Dal palazzo-labirinto alla biblioteca-labirinto il passo è breve e i riferimenti letterari eccellenti. Impossibile per un lettore non sognare ad occhi aperti di fronte alla biblioteca ottagonale de “Il nome della rosa”, un luogo geometricamente perfetto eppure capace di confondere chiunque si trovi all’interno. Chi di voi non ha contemplato per almeno cinque minuti di fila la pianta allegata al romanzo? Chi non si è perso in quelle sale?
Qualcosa di simile è anche ne “L’ombra del vento” di Zafòn dove la biblioteca si fa Cimitero dei Libri Dimenticati acuendo il senso di mistero, ma perdendo (forse) in eleganza. Non è un caso che il best seller di Zafòn sia un libro particolarmente caro ai bibliomani, perché oltre al cimitero dei libri, troviamo pure una bella libreria antiquaria in cui tra volumi e scaffali si aggirano tipi misteriosi.
Ma l’apoteosi è nella Biblioteca di Babele di Jorge Luis Borges in cui il labirinto coincide con l’intero universo. L’universo di tutti i libri possibili, inferno e paradiso di un lettore. E dunque citiamo:
 M'inganneranno, forse, la vecchiaia e il timore, ma sospetto che la specie umana - l'unica - stia per estinguersi, e che la Biblioteca perdurerà: illuminata, solitaria, infinita, perfettamente immobile, armata di volumi preziosi, inutile, incorruttibile, segreta.
Così come inutili incorruttibili e segreti sono in genere i Luoghi delle Meraviglie e i loro oggetti affastellati…

Il labirinto (punto!)
Vi sarete accorti sicuramente che il comune denominatore è, alla fine, il labirinto. Un tuffo ancora nelle mie letture infantili per scovare la sorgente di questa immagine, e ritrovo "Labyrinth", che forse in origine era un film da cui fu tratto il romanzo e non viceversa (illuminatemi se ci riuscite). La trama era incentrata sul percorso della protagonista all’interno di uno strano labirinto. Labirintico è anche il giardino di "Shining" di Stephen King, sebbene la mia strana attrazione per gli spazi chiusi abbia reso più significativo il ricordo dell’Overlook Hotel con i suoi lunghi corridoi e la teoria di stanze (non sempre) ben chiuse.
“Lo specchio nello specchio” di Michael Ende riprende il mito del labirinto in una prospettiva surreale e onirica. Non so dire quanto abbia corteggiato questo libro prima di riuscire a procurarmelo, in tempi in cui la Rete aiutava poco….

Dormire in una biblioteca
Lasciamo stare i labirinti e veniamo a un’altra prospettiva gustosa per il lettore fanatico: dormire in una stanza piena di libri. Dormire, goduria delle godurie, in una biblioteca!
Lo fa Tamura Kafka, uno dei due protagonisti di “Kafka sulla spiaggia”, il romanzo di Murakami Haruki che amo di più e forse proprio per questa ambientazione. Tamura Kafka fugge dalla sua casa e da un’oscura profezia e si nasconde in una biblioteca privata, ordinatissima e luminosa, che viene descritta come un’oasi di pace e di silenzio. Sarà per lui un vero e proprio perimetro magico dove avrà la possibilità di vivere esperienze ai limiti dell’ordinario e di ritrovare la propria identità, nonché il senso della sua stessa fuga.
Vive e dorme in una biblioteca il professor Kien di “Auto da fé” (ne abbiamo parlato di recente, clicca qui se non ricordi). Quattro cameroni, i libri ricoprono i muri sino al soffitto, le finestre sono altissime con vetri opachi, in modo che il disordine del mondo esterno non contamini il silenzio perfetto dello studioso in dialogo coi suoi preziosissimi tomi. L’attaccamento di Kien alla propria casa-biblioteca coinvolge il lettore che, suo malgrado, partecipa alle sventure del protagonista e soffre insieme a lui quando a costui è interdetto l’accesso al suo angolo di paradiso.

Luoghi aperti, ma non troppo
Vi sono, in letteratura, luoghi solo apparentemente aperti, di fatto però involuti e chiusi in cui si procede alla cieca, per ambagi. 
1.      la città delle meraviglie
prendiamo una qualunque delle città invisibili di Italo Calvino. Esse hanno in sé la bizzarria dell’immaginario poetico di ogni tempo e di ogni dove. E sembrano la proiezione di ciò che abbiamo nella testa. Chiuse da mura, hanno un perimetro finito ma anche le infinite possibilità dell’arte combinatoria. Le ho percorse, una dopo l’altra, con la tentazione di cambiare ordine, di mescolarle, di ritornare più volte dalla stessa allungando la lettura, rendendo il viaggio di Marco Polo interminabile e sempre diverso.
2.      il bosco degli incontri
ritorniamo all’Orlando furioso e inseguiamo Angelica in fuga nella selva. Un labirinto verde fatto di bivi e radure, di incontri e allontanamenti, di avventure e miraggi. Quello che dovrebbe essere un luogo di solitudine e raccoglimento appare, in realtà, assai affollato. Sorpresa dopo sorpresa, si procede senza meta e senza una direzione precisa. Un bosco di tal schiatta si ripresenta pure nelle avventure della solita Alice che, naturalmente, vi si perde. Le fanno compagnia creature illogiche e situazioni impreviste. Alice procede senza battere ciglio, cerca la SUA strada, qualunque cosa ciò voglia dire e intanto si immerge in un universo dominato dall’irrazionalità cercandovi un ordine o imponendoglielo. Curiosità e razionalità la accompagnano e io non posso impedire a me stessa un rispecchiamento che mi accompagna ormai da moltissimi anni. Crescendo non ho smesso di amare questo classico e di riviverlo meraviglia dopo meraviglia.

Botteghe e…
Chiudiamo la carrellata di luoghi cari al lettore ricordando le botteghe, possibilmente piccole e raccolte. Che vendano libri (L’ombra del vento, Zafòn), pasticcini (Chocolat, Harris), merletti (Il paradiso delle signore, Zola), giocattoli (La bottega dei giocattoli, Carter ), orologi (L’orologiaio di Everton, Simenon) non importa. La retorica vuole che entro quelle mura il tempo si sia fermato, che la luce filtri da vetrate spesse e opache e ci sia un odore di buono. Magari un po’di polvere. Tutto ciò che fa bottega vende evidentemente bene: lo sanno gli editori che amano inserire questa parolina magica in molti dei loro titoli, indipendentemente dalla pertinenza. Fate la prova: inserite “bottega” e “romanzo” in un motore di ricerca... non avrete che l’imbarazzo della scelta!

….soffitte
sorelle alle botteghe sono poi le soffitte, meno squallide delle turpi cantine e anche meno paurose (forse). Luogo della memoria familiare. Rifugio. Stratificazione di oggetti abbandonati alla polvere e alla semi-oscurità. Territorio di scoperte e di tesori nascosti, ancorché casalinghi. Locus amoenus del crepuscolare incallito, come molti lettori diventano a volte. Anche le soffitte possono diventare vere e proprie meraviglie se chi vi si aggira conserva lo sguardo incantato dei bambini e ha un po’ di tempo da perdere fra le scartoffie. Quando uno scrittore si sofferma a descrivere una soffitta, la sua prosa diventa generosa rassegna di cose inutili che il luogo rende misteriose e importanti proprio perché fuori dal circuito banale dell’uso e da una mera funzione strumentale.


Ecco, ho finito la rassegna dei luoghi che amo ritrovare nei libri. Paesi delle Meraviglie senza ordine né logica. Mondi rinchiusi. Miniature imperfette.
Mi scuso se mi sono dilungata oltre ogni previsione e vi lascio la parola.
Adesso tocca a voi raccontarmi quali sono gli spazi letterari che vi fanno sognare.
Sono spazi chiusi o aperti? Botteghe e soffitte o vaste praterie e selvagge brughiere?





7 commenti:

  1. Lo spazio letterario più bello è la mente di chi legge. (Perdona la banalità)
    Questo post è magnifico! Complimenti!

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    1. Grazie Massimiliano. La tua è tutt'altro che banalità. La mente di un lettore è un posto dove si accumulano i tesori che sappiamo portare via ai nostri libri.

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    2. Un libro
      Non vi è nave come un libro
      per portarci lontani,
      né destriero come una pagina
      d’imbizzarrita poesia.
      Questo passaggio può portare il povero
      senza gravarlo del pedaggio;
      quanto frugale è la carrozza
      che porta un’anima!
      (E. Dickinson)

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    3. La soffitta di F, Cialente in Le quattro ragazze Wieselberger (1976) - “Muoiono le persone, le cose, e muoiono anche i ricordi; ma se la visione della soffitta padovana (del nonno) mi rimane è forse perché lì dentro nascosta cominciai a “scrivere”, non saprei dire se per l’influenza delle mie avventurose letture, del Senza famiglia che avevo scovato tra i vecchi libri e mi aveva fatto versare tante lacrime, o per il ricordo delle recitazioni scekspiriane di mio fratello; mi sembra che dovette essere più che altro uno sfogo, il desiderio di scrivere quel che mi piaceva e avevo voglia di esprimere a modo mio in luogo degli stolti svolgimenti di “temi” ai quali la scuola mi obbligava”

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    4. Che bei commenti, grazie per aver impreziosito questa pagina con la poesia di Emily Dickinson e con quella di Cialente (che non conosco ancora ma che devo recuperare per forza). In entrambi i casi, la letteratura è luogo di di fuga e rifugio. E i luoghi in cui si legge rubano ai libri un po' della loro magia...

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  2. Vorrei citare anche Mendel dei libri di Stefan Zweig e Una solitudine troppo rumorosa di Bohumil Hrabal.
    Anche se non si tratta propriamente di biblioteche e soffitte, rende bene l'idea di un mondo appartato dove si può essere ben presenti a se stessi.

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    1. Grazie Paola, sono davvero contenta di aver ricevuto questi suggerimenti di lettura! Il blog nasce con lo scopo di scambiare storie di lettura e di lettori e in questi giorni mi sto arricchendo enormemente...

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