Cari lettori,
oggi mentre leggevo “Il cardellino” di Donna Tartt mi sono
imbattuta nella descrizione della bottega di un antiquario, un luogo
delle meraviglie in cui il protagonista - un orfano contro cui la sorte sembra
essersi particolarmente accanita - ritrova pace e voglia di vivere. La bottega è
descritta con tutti quegli ingredienti che stuzzicano furbescamente
l’immaginazione del lettore facendo leva sul suo bisogno di vivere appartato (late biosas ci insegnavano un tempo al
liceo classico), sulla ricerca di un angolo nascosto in cui i rumori e i
problemi del quotidiano non riescono ad arrivare.
Gli ingredienti che sembrano solleticare la nostra fantasia sono la penombra, il senso di chiusura rispetto al mondo esterno (come fossimo
all’interno di un perimetro sacro), l’accumulo di oggetti, un odore buono, la
struttura apparentemente caotica del labirinto in cui l’inquietudine data dalla
possibilità di perdersi è mitigata dalla dolcezza dell’arredo.
Vi riporto il passo.
“Una giungla di dorature risplendeva nell’ambiente rischiarato dalla
luce che filtrava dai vetri sporchi della finestra: putti dorati, cassettoni e
candelabri in oro. e – a coprire l’odore del legno antico – un tanfo di
trementina, pittura a olio e vernice” “…il labirinto ai piedi delle scale,
legno chiaro come il miele, legno scuro come la melassa, bagliori d’oro,
d’argento e d’ottone nella luce pallida…”
Ho iniziato a ripercorrere con la mente tutti quei luoghi
meravigliosi in cui mi sono imbattuta nel corso delle mie letture, quelli che,
anche per pochi istanti, mi hanno fatto desiderare fortemente (e talvolta
irragionevolmente) di essere al posto del protagonista del romanzo.
Tutti hanno più o meno le stesse caratteristiche della
bottega antiquaria descritta da Donna Tartt.
Iniziamo ab ovo.
La tana del coniglio
Se è vero che la mia storia di lettrice nasce quando avevo
sette anni da una riduzione per
bambini di “Alice nel Paese delle Meraviglie”
che mi fu regalata, si potrà ben capire come il luogo letterario che più mi ha
fatto sognare, la più fertile delle immagini, la madre di tutte le fantasie
libresche sia senza dubbio la tana del coniglio bianco. Un buco profondissimo,
aperto nella corteccia di un albero, in cui la bionda Alice fluttua dolcemente scorgendo
nella penombra oggetti di vario tipo: mensole, barattoli di marmellata, carte geografiche,
cannocchiali, lampade, quadri, dondoli e sedie, mura vagamente tondeggianti che
non disdegnano la carta da parati. Un ambiente inquietante e rassicurante al
contempo: ci sono arredi consueti di foggia antica, accatastati come in una
soffitta, ma siamo all’interno di un albero e precipitiamo in un pozzo di cui
non si vede la fine.
Simile alla tana del coniglio è la casa di Frodo de "Il
Signore degli anelli". La trasposizione cinematografica, ahimè, ha preso in
ostaggio il mio immaginario, non ricordo più le impressioni che ricavai dalla
prima lettura…
Il palazzo labirinto
L’imprinting è ancora in una lettura d’infanzia: “Il
giardino segreto”. La storia è ambientata in un castello immerso nella
brughiera. La protagonista, orfana e capricciosa, viene adottata da uno zio bizzarro
che la ospita in una dimora immensa e lugubre in cui la ragazzina potrebbe
perdersi o fare incontri strani se non ci fosse qualcuno sempre pronto a
sorvegliarla. Non fu la segretezza del giardino abbandonato a incuriosirmi, ma proprio
le peregrinazioni proibite e temerarie della protagonista fra stanze, gallerie
e corridoi del palazzo. La mancanza di un centro, l’infinito potenziale che i luoghi
labirintici contengono, il senso di chiusura e di ampiezza (un ossimoro
architettonico), la possibilità di incontri imprevisti rappresentano per me il
concetto più alto di avventuroso. Più della giungla, più di un’isola selvaggia,
più di un teatro di guerra.
La scuola mi ha fatto poi scoprire un altro palazzo
labirinto, decisamente più raffinato: “Il palazzo di Atlante” in cui i
cavalieri dell’Ariosto vagano disperati in cerca dell’uscita, ingannati
dall’immagine chimerica dell’oggetto dei propri desideri che li riporta
indietro, nel cuore del castello proprio quando sono sul punto di liberarsi.
Fughe di stanze e palazzi senza uscita sono anche in
“Orlando” di Virginia Woolf o nella dimora angosciante di Des Esseintes in “A
ritroso”.
L’archetipo di tutto questo è nel labirinto del Minotauro e
nel palazzo di Cnosso a Creta.
Mi piace scovare radici classiche alle mie fisime letterarie,
mi fa sentire meno infantile!!!
La biblioteca
labirinto
Dal palazzo-labirinto alla biblioteca-labirinto il passo è
breve e i riferimenti letterari eccellenti. Impossibile per un lettore non
sognare ad occhi aperti di fronte alla biblioteca ottagonale de “Il nome della
rosa”, un luogo geometricamente perfetto eppure capace di confondere chiunque
si trovi all’interno. Chi di voi non ha contemplato per almeno cinque minuti di
fila la pianta allegata al romanzo? Chi non si è perso in quelle sale?
Qualcosa di simile è anche ne “L’ombra del vento” di Zafòn
dove la biblioteca si fa Cimitero dei Libri Dimenticati acuendo il senso di
mistero, ma perdendo (forse) in eleganza. Non è un caso che il best seller di
Zafòn sia un libro particolarmente caro ai bibliomani, perché oltre al cimitero
dei libri, troviamo pure una bella libreria antiquaria in cui tra volumi e
scaffali si aggirano tipi misteriosi.
Ma l’apoteosi è nella Biblioteca di Babele di Jorge Luis
Borges in cui il labirinto coincide con l’intero universo. L’universo di tutti
i libri possibili, inferno e paradiso di un lettore. E dunque citiamo:
“ M'inganneranno,
forse, la vecchiaia e il timore, ma sospetto che la specie umana - l'unica -
stia per estinguersi, e che la Biblioteca perdurerà: illuminata, solitaria,
infinita, perfettamente immobile, armata di volumi preziosi, inutile,
incorruttibile, segreta.”
Così come inutili
incorruttibili e segreti sono in genere i Luoghi delle Meraviglie e i loro
oggetti affastellati…
Il labirinto (punto!)
Vi sarete accorti sicuramente che il comune denominatore è,
alla fine, il labirinto. Un tuffo ancora nelle mie letture infantili per scovare
la sorgente di questa immagine, e ritrovo "Labyrinth", che forse in origine era
un film da cui fu tratto il romanzo e non viceversa (illuminatemi se ci
riuscite). La trama era incentrata sul percorso della protagonista all’interno
di uno strano labirinto. Labirintico è anche il giardino di "Shining" di Stephen King, sebbene la mia
strana attrazione per gli spazi chiusi abbia reso più significativo il ricordo
dell’Overlook Hotel con i suoi lunghi corridoi e la teoria di stanze (non
sempre) ben chiuse.
“Lo specchio nello specchio” di Michael Ende riprende il
mito del labirinto in una prospettiva surreale e onirica. Non so dire quanto
abbia corteggiato questo libro prima di riuscire a procurarmelo, in tempi in
cui la Rete aiutava poco….
Dormire in una biblioteca
Lasciamo stare i labirinti e veniamo a un’altra prospettiva
gustosa per il lettore fanatico: dormire in una stanza piena di libri. Dormire,
goduria delle godurie, in una biblioteca!
Lo fa Tamura Kafka, uno dei due protagonisti di “Kafka sulla
spiaggia”, il romanzo di Murakami Haruki che amo di più e forse proprio per
questa ambientazione. Tamura Kafka fugge dalla sua casa e da un’oscura profezia
e si nasconde in una biblioteca privata, ordinatissima e luminosa, che viene
descritta come un’oasi di pace e di silenzio. Sarà per lui un vero e proprio
perimetro magico dove avrà la possibilità di vivere esperienze ai limiti
dell’ordinario e di ritrovare la propria identità, nonché il senso della sua
stessa fuga.
Vive e dorme in una biblioteca il professor Kien di “Auto da
fé” (ne abbiamo parlato di recente, clicca qui se non ricordi). Quattro
cameroni, i libri ricoprono i muri sino al soffitto, le finestre sono altissime
con vetri opachi, in modo che il disordine del mondo esterno non contamini il
silenzio perfetto dello studioso in dialogo coi suoi preziosissimi tomi.
L’attaccamento di Kien alla propria casa-biblioteca coinvolge il lettore che,
suo malgrado, partecipa alle sventure del protagonista e soffre insieme a lui
quando a costui è interdetto l’accesso al suo angolo di paradiso.
Luoghi aperti, ma non
troppo
Vi sono, in letteratura, luoghi solo apparentemente aperti,
di fatto però involuti e chiusi in cui si procede alla cieca, per ambagi.
1.
la città
delle meraviglie
prendiamo una qualunque delle città invisibili di Italo
Calvino. Esse hanno in sé la bizzarria dell’immaginario poetico di ogni tempo e
di ogni dove. E sembrano la proiezione di ciò che abbiamo nella testa. Chiuse
da mura, hanno un perimetro finito ma anche le infinite possibilità dell’arte
combinatoria. Le ho percorse, una dopo l’altra, con la tentazione di cambiare
ordine, di mescolarle, di ritornare più volte dalla stessa allungando la
lettura, rendendo il viaggio di Marco Polo interminabile e sempre diverso.
2.
il bosco
degli incontri
ritorniamo all’Orlando furioso e inseguiamo Angelica in fuga
nella selva. Un labirinto verde fatto di bivi e radure, di incontri e
allontanamenti, di avventure e miraggi. Quello che dovrebbe essere un luogo di
solitudine e raccoglimento appare, in realtà, assai affollato. Sorpresa dopo
sorpresa, si procede senza meta e senza una direzione precisa. Un bosco di tal
schiatta si ripresenta pure nelle avventure della solita Alice che,
naturalmente, vi si perde. Le fanno compagnia creature illogiche e situazioni
impreviste. Alice procede senza battere ciglio, cerca la SUA strada, qualunque
cosa ciò voglia dire e intanto si immerge in un universo dominato
dall’irrazionalità cercandovi un ordine o imponendoglielo. Curiosità e
razionalità la accompagnano e io non posso impedire a me stessa un
rispecchiamento che mi accompagna ormai da moltissimi anni. Crescendo non ho
smesso di amare questo classico e di riviverlo meraviglia dopo meraviglia.
Botteghe e…
Chiudiamo la carrellata di luoghi cari al lettore ricordando
le botteghe, possibilmente piccole e raccolte. Che vendano libri (L’ombra del
vento, Zafòn), pasticcini (Chocolat, Harris), merletti (Il paradiso delle
signore, Zola), giocattoli (La bottega dei giocattoli, Carter ), orologi (L’orologiaio
di Everton, Simenon) non importa. La retorica vuole che entro quelle mura il
tempo si sia fermato, che la luce filtri da vetrate spesse e opache e ci sia un
odore di buono. Magari un po’di polvere. Tutto ciò che fa bottega vende evidentemente
bene: lo sanno gli editori che amano inserire questa parolina magica in molti
dei loro titoli, indipendentemente dalla pertinenza. Fate la prova: inserite
“bottega” e “romanzo” in un motore di ricerca... non avrete che l’imbarazzo
della scelta!
….soffitte
sorelle alle botteghe sono poi le soffitte, meno squallide
delle turpi cantine e anche meno paurose (forse). Luogo della memoria
familiare. Rifugio. Stratificazione di oggetti abbandonati alla polvere e alla
semi-oscurità. Territorio di scoperte e di tesori nascosti, ancorché
casalinghi. Locus amoenus del
crepuscolare incallito, come molti lettori diventano a volte. Anche le soffitte
possono diventare vere e proprie meraviglie se chi vi si aggira conserva lo
sguardo incantato dei bambini e ha un po’ di tempo da perdere fra le
scartoffie. Quando uno scrittore si sofferma a descrivere una soffitta, la sua
prosa diventa generosa rassegna di cose inutili che il luogo rende misteriose e
importanti proprio perché fuori dal circuito banale dell’uso e da una mera
funzione strumentale.
Ecco, ho finito la rassegna dei luoghi che amo ritrovare nei
libri. Paesi delle Meraviglie senza ordine né logica. Mondi rinchiusi.
Miniature imperfette.
Mi scuso se mi sono dilungata oltre ogni previsione e vi
lascio la parola.
Adesso tocca a voi raccontarmi quali sono gli spazi letterari che vi
fanno sognare.
Sono spazi chiusi o aperti? Botteghe e soffitte o vaste
praterie e selvagge brughiere?
Lo spazio letterario più bello è la mente di chi legge. (Perdona la banalità)
RispondiEliminaQuesto post è magnifico! Complimenti!
Grazie Massimiliano. La tua è tutt'altro che banalità. La mente di un lettore è un posto dove si accumulano i tesori che sappiamo portare via ai nostri libri.
EliminaUn libro
EliminaNon vi è nave come un libro
per portarci lontani,
né destriero come una pagina
d’imbizzarrita poesia.
Questo passaggio può portare il povero
senza gravarlo del pedaggio;
quanto frugale è la carrozza
che porta un’anima!
(E. Dickinson)
La soffitta di F, Cialente in Le quattro ragazze Wieselberger (1976) - “Muoiono le persone, le cose, e muoiono anche i ricordi; ma se la visione della soffitta padovana (del nonno) mi rimane è forse perché lì dentro nascosta cominciai a “scrivere”, non saprei dire se per l’influenza delle mie avventurose letture, del Senza famiglia che avevo scovato tra i vecchi libri e mi aveva fatto versare tante lacrime, o per il ricordo delle recitazioni scekspiriane di mio fratello; mi sembra che dovette essere più che altro uno sfogo, il desiderio di scrivere quel che mi piaceva e avevo voglia di esprimere a modo mio in luogo degli stolti svolgimenti di “temi” ai quali la scuola mi obbligava”
EliminaChe bei commenti, grazie per aver impreziosito questa pagina con la poesia di Emily Dickinson e con quella di Cialente (che non conosco ancora ma che devo recuperare per forza). In entrambi i casi, la letteratura è luogo di di fuga e rifugio. E i luoghi in cui si legge rubano ai libri un po' della loro magia...
EliminaVorrei citare anche Mendel dei libri di Stefan Zweig e Una solitudine troppo rumorosa di Bohumil Hrabal.
RispondiEliminaAnche se non si tratta propriamente di biblioteche e soffitte, rende bene l'idea di un mondo appartato dove si può essere ben presenti a se stessi.
Grazie Paola, sono davvero contenta di aver ricevuto questi suggerimenti di lettura! Il blog nasce con lo scopo di scambiare storie di lettura e di lettori e in questi giorni mi sto arricchendo enormemente...
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