venerdì 12 settembre 2014

Dove nessuno ti troverà di Alicia Giménez-Barlett

Buon pomeriggio a tutti, e buon week end!

Con grande impazienza, come promesso, oggi recensisco “Dove nessuno ti troverà” di Alicia Giménez-Barlett, edizione Sellerio 2014, il mio libro da viaggio, compagno di levatacce e di spostamenti mattutini. È un romanzo che potrebbe ben intitolarsi “La Pastora” per la forza e la capacità di attrazione esercitata dal personaggio principale, un partigiano-bandito, dalla sessualità incerta, sulle tracce del quale (della quale?) si mette una strana coppia: lo psichiatra francese Nourissier e Carlos Infante, un giornalista da strapazzo, abituato al gin più che alle pubbliche relazioni.
Siamo nella cupa Spagna del regime franchista, all’indomani della guerra civile.
494 pagine che scorrono velocemente, a cui si aggiunge una postilla “finzione e realtà” e una “nota finale” di circa dieci pagine in cui si ricostruisce la vita del bandito, successivamente al tempo della narrazione e sulla base delle notizie ricavate dal reportage di Josè Calvo, la principale fonte a cui l’autrice si è ispirata per scrivere questo libro. Nelle ultime pagine dell’edizione Sellerio è possibile vedere una fotografia autentica della Pastora, risalente agli anni Quaranta. Un bianco e nero suggestivo da cui non è semplice capire se si tratti di un uomo o di una donna. Coprendo il volto per metà, infatti, e guardandone ora il lato destro, ora il sinistro, si ha la percezione di avere di fronte ora un uomo, ora una donna.
Siete pronti? Via con l’incipit!

Incipit
Barcellona, settembre 1956,
Carlos Infante notò con soddisfazione che quella mattina il cielo era sereno e splendeva il sole. Solitamente non gli importava nulla del tempo che faceva. Gli bastava avere un ombrello se pioveva o il suo vecchio giaccone se faceva freddo. Ma quel lunedì era un giorno speciale, o almeno prometteva di esserlo. Nella sua monotona vita, nella monotona vita di tutti gli spagnoli, un semplice appuntamento inaspettato poteva trasformarsi in un evento eccezionale. E lui a mezzogiorno aveva un appuntamento talmente insolito da sembrargli addirittura irreale.” [traduzione di Maria Nicola]
Infeltrita
L’evento di rottura è già nell’incipit. La molla che farà scattare il movimento. Il rischio. L’avventura. E quindi la narrazione stessa. 
Nell’immobilità funesta di una Barcellona ammorbata dalla dittatura e dai civiles, gendarmi rozzi e violenti, che impediscono la libera circolazione delle idee, delle parole, della stampa, Carlos Infante è un giornalista immobile tra gli immobili, rassegnato, annoiato - dalla vita, dalle proprie aspirazioni frustrate, dagli uomini in genere. Infante parla la lingua del gin, dei soldi, del disincanto.
L’appuntamento con un ignoto psichiatra francese, Nourissier, sconvolge la sua vita: un patto, una sfida, una ricerca impossibile e pericolosa. 
In cambio di un lauto stipendio, Infante dovrà accompagnare Nourissier per le montagne a sud della Spagna, covo, un tempo, dei repubblicani, fra villaggi e borghi spogliati dalla miseria, sulle tracce della Pastora, chiunque sia, uomo o donna, viva o morta. Benché questo significhi sfidare apertamente il regime e i suoi mille occhi. Forza brutale e onnipresente.
Infante e Nourissier, all’inizio sono due mondi lontani, incapaci di comunicare senza litigare, suscettibili e orgogliosi. Figli di realtà diversissime, non si comprendono e si disprezzano. L’uno intraprende il viaggio spinto dalla promessa di una ricompensa sonante, l’altro da un romantico quanto improbabile idealismo.
Se in Infante c’è il cinismo e la durezza di una Spagna provata e prosciugata, in Nourissier troviamo la cortesia ipocrita del perfetto mondo borghese. Lo psichiatra è un ingenuo, dal cuore tenero, sprovveduto, cerca il brigante per pura curiosità scientifica, vorrebbe studiarne il caso, alleviarne la sofferenza. Dietro di lui c’è il mondo ovattato della famiglia, delle soddisfazioni lavorative, di una esistenza comoda che non ha mi conosciuto ferocia e dolore, che non si è mai ribellata, perché rinchiusa in una gabbia piena di agi e comodità.
Ciò che rende avvincente la loro ricerca è il senso di pericolo incombente, l’assoluta mancanza di trasparenza negli incontri, il senso di minaccia costante, mentre procedono per lande desolate, nel freddo di un inverno molto duro, senza un percorso preciso, fra indizi incerti e contraddittori, traditi molto spesso da amici infidi, aiutati, per puro caso, da rapide comparse.
E tuttavia il viaggio è presa di coscienza. È ascoltare, inermi, le storie dei contadini, vittime della ferocia del regime, ricostruire la disperata resistenza dei partigiani, scavare nella miseria, nell’ingiustizia, nella morte, nell’innocenza violata. Il viaggio è una crescita dolorosa.
Per Nourissier, ferito nelle sue certezze, schiaffeggiato dalla durezza della vita, disorientato dal male (per la prima volta davvero esperito) è la maturità finalmente raggiunta, la consapevolezza di un bisogno di libertà e di ribellione, fino ad allora mai ascoltato, è l’uscita dal bozzolo, dalla prigione dorata.
Per Infante il viaggio è una tempesta che fa piazza pulita. Autocritica spietata. Recupero della responsabilità col suo peso, i conti da pagare, le colpe da scontare. 
I mondi lontani lentamente si avvicinano. Il viaggio sulle tracce della Pastora è anche una bella storia di amicizia.

E poi c’è lei o lui. Non vi anticipo nulla del mistero della sua sessualità.
La voce della Pastora che racconta di sé in prima persona è un corsivo che interrompe la narrazione principale. In lei/lui troviamo la voce di tutti gli emarginati, dei diversi, la voce della solitudine, di chi si abbrutisce sotto le raffiche dell’altrui malevolenza. 
Una voce asciutta, rassegnata, coerente. Una voce nuda che mette a nudo la tragedia della guerra civile. È un personaggio gigantesco e affascinante. Non è difficile capire perché attorno alle sue gesta sia nel tempo nato un mito. Delle figure leggendarie la Pastora ha il titanismo tragico e la solitudine perfetta, la contemplazione del cielo stellato di chi dorme fra i campi, nelle grotte, una libertà che la società (in)civile attenta, bracca, perseguita, punisce.
Una narrazione piena, lettori. Alicia Giménez-Barlett sa rendere interessante qualunque storia racconti. Che siano i gialli del commisario Delicado oppure lo scavo psicologico che incontriamo in “SegretaPenelope”. Una scrittrice che mi piace. Punto.

Zoom
Vi lascio con queste parole. La cui attualità è evidente.

A me sembrava giusto. Che gli uomini sono tutti uguali e la terra è di chi la lavora e nessuno deve farti lavorare come un mulo per quattro soldi, sono tutte cose molto belle e giuste.
Perché sono ignoranti, Pastora, perché ai fascisti che hanno vinto la guerra non interessa che la gente impari qualche cosa, a loro conviene che tutti restino somari come sono venuti al mondo. Quello che vogliono è che tutto rimanga uguale, che i poveri si rompano la schiena a lavorare, che non sappiano leggere, perché coi libri si fanno le rivoluzioni
Viva i libri.

Libro da viaggio



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