martedì 21 ottobre 2014

Le parole nostre. Viaggio memoriale di Dionisio Simone.

Titolo: Le parole nostre
Sottotitolo: Viaggio nella memoria di un profugo istriano.
Autore: Dionisio Simone
Introduzione: Vito Antonio Leuzzi
Casa editrice: Edizioni dal Sud, Bari
Anno di pubblicazione: 2014
Genere: Dizionario "narrativo"
Numero di pagine: 159
Formato: cartaceo
Costo: 15,00
ISBN: 978 88 7553 199 7
Come acquistarlo: info@dalsud.it oppure www.dalsud.it


Oggi, cari amici, vi presento un'opera un po' particolare, a cui tengo molto.
Non si tratta di un romanzo, né di un saggio, né di un'opera in versi. 
Di che cosa parliamo, allora? - vi starete domandando scettici e impazienti. 
Parliamo di un vocabolario! Ma come? Si può recensire un vocabolario? 
Io ci ho provato qualche mese fa...
Elenco di nomi evocativi, grappoli di idee associate alle parole: il dizionario che vi propongo non vuole istruirci, ma narrare storie, portarci lontano nel tempo e nello spazio, farci riflettere sul valore della memoria. Si tratta, infatti di una selezione di parole emotivamente pregnanti che diventano spunti per scandire la storia dell'autore, Dionisio Simone, un profugo giuliano che ha lasciato la sua terra - Pola - nel 1947. Ho avuto modo di conoscere Dionisio Simone personalmente, di intravedere numerose tracce della passione con cui ha atteso a quest'opera, e tuttavia ritengo che sia nelle pagine del libro che questo afflato emerga con più forza e schiettezza.
Docente di Latino e Greco, l'autore non nasconde il suo amore per la lingua - il dialetto istriano - che sopravvive nella memoria e ne rappresenta la radice profonda, il legame con la terra, eredità preziosa di famiglia da custodire e tramandare. Un thesaurus dell'animo, mi viene da dire. 
Ho letto "Le parole nostre. Viaggio nella memoria di un profugo istriano" quando ancora non era stato pubblicato, quando ancora si chiamava "Noi parlemo cussì" (un titolo che preferivo, perché più spontaneo e accorato). Con piacere ne ho scritto anzitempo una recensione infeltritissima, che ora è diventata la prefazione al libro. 
Ve la ripropongo qui sotto, con l'autorizzazione dell'autore, sperando di riuscire a incuriosirvi così come, lo scorso inverno, sono stata incuriosita io da questa pioggia di parole in un dialetto a me sconosciuto.

Incipit
"Abandonàr = abbandonare
Nel pensare alla nostra terra istriana e alla casa che abbiamo abbandonato, mi vengono in mente i versi della prima bucolica di Virgilio, che esprimono la tristezza del pastore Melibeo, costretto dalla guerra, come è capitato anche a noi, ad allontanarsi dai luoghi che amava: Nos patriae finis et dulcia linquimus arva, / nos patriam  fugimus. (Noi la terra dei padri lasciamo e i cari campi, noi fuggiamo dalla patria)"
L'Infeltrita
Lessico e zibaldone. "Le parole nostre. Viaggio nella memoria di un profugo istriano" non ha la sistematicità di un dizionario, ma la poliedricità della memoria che non conosce steccati, che non ha bisogno di loci, che si accende con le sue intermittenze a illuminare ora un interno familiare ora una bicicletta in corsa nella domenica polesana, l'aglio di una filastrocca da sussidiario o le pagine immense dei classici.
Questa è un'opera di resistenza, di tenerezza e di pietas. In principio ci sono le parole "nostre", c'è il "noi", l'insieme che accoglie e che consola: una famiglia che ha perduto la sua terra e porta le radici altrove. Il "noi" è l'insieme mai intimamente risarcito dei profughi della perduta Pola, italiani che oggi un confine politico avrebbe voluto croati, sparpagliati nel ventre grasso del dopoguerra e dimenticati.
Poi c'è il dialetto polesano, dolce e svelto. Le consonanti scempie. Piccola lingua domestica che dà voce ai ricordi, che si fa storia di vita, lemma a lemma, sollevando il sipario laddove la grande storia non ha saputo (o voluto) vedere. Si tratta di una lingua che culla e che protegge, e perciò, in questo senso, profondamente materna. Estrema resistenza di una cultura senza terra, è ciò che resta di un'identità difficile, non ancora risolta. 
Il lettore fruga tra aneddoti e cose, istantanee e digressioni. Accompagnato dalla leggerezza degli esempi, origlia stralci di conversazioni lontane. Paure e sorrisi, schianti e giochi. 
In un dizionario la cadenza non si sente, al più si segnano gli accenti acuti e gravi. Di questa musicalità perduta si avverte la mancanza, e non c'è soluzione: perciò si comprende a fondo la nostalgia dell'autore, più forte di ogni scanzonata ironia.
A chi lo consiglio
A chi come me è curioso di indagare il rapporto controverso che si stabilisce tra Storia e Memoria.
A chi ama l'approccio alla storia dal basso. 
A chi vuole ritrovare un pezzo di micro-storia, spesso dimenticato.
A chi ama le parole e gli aneddoti.
A chi "Homo sum humani nihil a me alienum puto"...in questo libro c'è davvero sapore di umanità!

La dedica!

2 commenti:

  1. Le parole, le storie... Una bella recensione costruita su questo dualismo che accompagna l'uomo da sempre. C'erano i graffiti all'origine, è vero, ma c'erano anche i racconti...la scrittura, poi, ha compiuto il passo ulteriore. Tramandare. E' stata certo questa la molla che ha spinto l'autore a scrivere, timoroso che un patrimonio di cose, emozioni e sentimenti andasse definitivamente perduto. Ed è proprio per questo che ho apprezzato in particolare l'osservazione :"Estrema resistenza di una cultura senza terra, è ciò che resta di un'identità difficile, non ancora risolta." Quando si legge con il cuore non si sbaglia. Grazie. Enza Simone

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    1. Sono riuscita finalmente a fare apparire questo commento così bello! Il libro è stato scritto col cuore e ciò è emerso fin dalle prime righe. Per questo lo si legge con altrettanta gioia. Mi auguro che il patrimonio culturale e affettivo che esso custodisce non si perda e si diffonda...

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