martedì 14 ottobre 2014

Una mutevole verità. Romanzo o cronaca?

Oggi vi propongo una recensione davvero mini. Infeltrita più del solito.
Ho letto al volo un giallo di Gianrico Carofiglio, trovato in giro per casa: Una verità mutevole, edito da Einaudi Stile Libero Big (giugno 2014).

Mi ha colpito una noticina a caratteri minuti fra le pagine di guardia: “Edizione realizzata in collaborazione con l’Ente editoriale dell’Arma dei Carabinieri in occasione del Bicentenario dei Carabinieri”. L’autore non è tra i miei preferiti, ma anni fa ho apprezzato Il passato è una terra straniera, un noir ambientato in una Bari notturna e cupa, molto diversa da quella allegra e chiassosa che allora frequentavo quotidianamente con la spensieratezza della studentessa universitaria innamorata dei colori delle vetrine e delle bancarelle del centro (incensi, bracciali, anelli, sculture in legno, diari, specchi, sciarpe, occhiali, cappelli.)

Incipit
“Cardinale Lorenzo detto ‘u tuzz – cioè la «testata» - era un rapinatore, specializzato in banche e uffici postali. Lui e i suoi complici avevano una tecnica efficace: rubavano un’auto di grossa cilindrata, o addirittura un camion; aspettavano l’orario di chiusura al pubblico, quando le casseforti erano aperte, i sistemi di sicurezza da tempo disattivati e gli impiegati contavano il denaro. Allora lanciavano l’auto – o il camion – a marcia indietro contro la vetrina blindata, la sfondavano, entravano armi in pugno, prendevano il denaro e andavano via. Ovviamente con una macchina diversa.”

L’Infeltrita
Una mutevole verità è un romanzo breve e asciutto, un poliziesco classico che procede senza sbavature dalla registrazione di un omicidio alla risoluzione del caso. Nel cuore della storia il messaggio è subito dichiarato: la verità è ricerca, è uno scavo che richiede pazienza, attenzione ai dettagli ma non al superfluo. Quando la verità è troppo evidente bisogna alzare la guardia. Proprio allora, infatti, c’è il rischio di un pericoloso abbaglio.
L’indagine è condotta dal maresciallo dei carabinieri Pietro Fenoglio. Nomen omen dicevano gli antichi e lui, in ossequio all'illustre cognome, ama leggere, frequenta librerie e ascolta musica classica, vorrebbe studiare lettere e prima o poi lo farà.
Fenoglio è un uomo attento, di grande umanità, capace di tenersi discosto dalla violenza che il suo mestiere gli pone davanti, sia essa frutto di un reato, sia essa metodo d’indagine usato e abusato dai colleghi. Non ha pregiudizi Fenoglio, perciò non si fida delle apparenze. E se l’istinto lo porta a dubitare di qualcosa o di qualcuno non lo asseconda alla cieca, ma prova a mettere in discussione l’impalcatura di certezze razionali che ha costruito, ne saggia la tempra. Se l’edificio tiene la certezza è fondata, se scricchiola, l’istinto ha avuto ragione e bisogna cercare nuove piste, altre tracce; Fenoglio non si tira indietro. È un buon carabiniere, di quelli che chiunque si augurerebbe di incontrare davanti. Sembrano capirlo tutti, persino i pregiudicati.
Nelle ultime pagine, come un’ombra, fa la sua comparsa una vecchia conoscenza dei lettori di Carofiglio: l’avvocato Guerrieri, protagonista di molti altri romanzi. Qui è una comparsa, quasi una citazione, eppure sembra avere il merito indiretto di portare l’assassino alla confessione. 
Sullo sfondo c’è Bari: i luoghi, però, scorrono senza ingombrare. Non sono protagonisti. Qui c’è via Sparano, lo shopping, le vetrine, i profumi delle signore. Lì il Petruzzelli ancora in piedi. La chiesa russa, qualche parola su San Nicola da Mira. Siamo alla fine degli anni Ottanta, pochi passaggi ce lo dicono: la Ritmo del maresciallo, i cappotti dalle ampie spalline, il profumo Poison di Dior. Nulla che ecceda. Nulla che indulga verso un lirismo puramente ornamentale. La storia potrebbe essere ambientata a Roma o a Firenze o a Vercelli, resterebbe in piedi perfettamente.
Lo stile ha la puntualità dei verbali. La scelta dei sostantivi e dei verbi affonda in un italiano standard quasi asettico. Aggettivi e avverbi hanno una funzione informativa, giammai espressiva: non servono a emozionare, ad abbellire, a colorire, a enfatizzare. Solo a precisare. La scrittura è in funzione della storia che deve emergere - come emerge! - in primo piano, nitida e chiara. 

Lo consiglio a chi NON ama libri lunghi, trame complesse, colpi di scena fini a se stessi.
 

Zoom
Sulle prime il romanzo mi è sembrato un po’ anemico. Freddo.

“Le date, i nomi, i luoghi indicati in questo romanzo sono di fantasia. I fatti sono realmente accaduti, altrove”. La lettura di questa postilla mi ha, in parte, rassicurato. Ho avuto la sensazione che Carofiglio abbia voluto raccontarci un pezzo di cronaca, camuffato. Se è così lo scuso. Viceversa avrei chiesto alla sua penna una sforzo immaginativo più grande -  e più calore. Un personaggio come Pietro Fenoglio non glielo avrebbe di certo impedito.  

2 commenti:

  1. Un bel po' di tempo fa ho letto "L'arte del dubbio" di Gianrico Carofiglio e credo di capire cosa intendi con "lo stile ha la puntualità dei verbali" e "ho avuto la sensazione che Carofiglio abbia voluto raccontarci un pezzo di cronaca, camuffato". Penso che faccia parte della sua deformazione professionale da magistrato e siccome spesso mi piace avvicinarmi ad una scrittura di tipo tecnico, penso che aggiungerò "Una mutevole verità" fra i libri da leggere.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Io a volte lo trovo troppo freddo, ma la struttura delle storie è ineccepibile e quindi lo consiglio!

      Elimina