Paradosso, accelerazione, malattia.
Ridere a crepapelle nel silenzio della casa vuota, in
solitudine perfetta, è un’esperienza che mi ha fatto sentire parte del
sistema-libro di Wallace, l’ennesimo personaggio secondario che si affaccia
nelle pagine de La Scopa
del Sistema, con i suoi tic, l’isteria, la buona dose di grottesco - un marchio per ciascuno - e la confusione logica verbale memoriale da cui non si ricava che
disperato bisogno di silenzio.
Eppure, per quelle risate mi sono sbellicata,
anche se non c’era nessuno - e ho sofferto!,
perché francamente nemmeno in seguito sono riuscita a condividere o,
anche solo lontanamente, a comunicare le ragioni per cui queste pagine mi sono
apparse immediatamente esilaranti e tragiche, alienanti e sarcastiche.
Ci provo adesso. O magari sbaglio, ché la bellezza di questo romanzo è anche nella sorpresa di trovarsi di fronte al puro assurdo.
L’incipit:
“Molte ragazze davvero
belle hanno dei piedi davvero brutti, e Mindy Metalman non fa eccezione, pensa
Lenore, all’improvviso. Sono piatti e lunghi, con dita strombate e i mignoli
afflitti da bottoni di callosità giallognola che compare a mo’ di battiscopa
lungo i calcagni, e sul dosso dei piedi sbucano peluzzi neri arricciati, e lo
smalto rosso è screpolato e si scrosta a boccoli per quant’è vecchio, mostrando
qua e là striature bianchicce”
L’infeltrita:
la struttura è quella della queste, una doppia ricerca che mette in moto la macchina narrativa,
a ritmo frenetico, quando Lenore Beadsman, bisnonna dell’omonima Lenore
Beadsman, scompare dalla sua casa di riposo con altri ventiquattro pazienti e
le infermiere. È costei un’ancienne terrible,
antica discepola di Wittgenstein, bisognosa, per sopravvivere, di una
temperatura esterna di 36,5 gradi, come fosse un animale a sangue freddo. A questo punto il lettore può già misurare
la follia della trama.
Non si cerca, tuttavia, solo la bisnonna centenaria alle
prese con esperimenti sulla ghiandola pineale e lo sviluppo del linguaggio, si
cerca anche, un po’ più sommessamente, l’identità di Lenore Beadsman/pronipote,
ventiquattrenne perduta in un sistema insano (pullulante di personaggi isterici
e paradossali...fortissima la tentazione di citarli tutti!) che ha come sfondo una Cleveland circondata da DIO – Deserto
Incommensurabile dell’Ohio – luogo
artificiale dell’anima, dove, come turisti assetati di selvaggio, si va a
comprare un po’ di desolazione e un altrettanto artificiale ritorno alle
origini.
Lenore/pronipote è in cerca della riappropriazione del sé,
sommersa com’è dalle parole altrui che la stanno fagocitando: racconti
abortiti, sceneggiature kitsch, psicoanalisi demenziali e lucrose, querimonia
garrula e castrante di un fidanzato attempato che si chiama Vigorous, ma è “alquanto nevrotico, possessivo, capriccioso
e vagamente effeminato”, sproloquio del pappagallo invasato che ripete
salmi-oscenità- luoghi comuni-saluti ai telespettatori configurandosi di fatto
come la Superstar
delle TV private.
Il sistema in cui è immersa Lenore sta per scoppiare. Come per
le linee telefoniche del centralino in cui lavora, impazzite all’improvviso, si
assiste al cortocircuito emotivo e razionale della ragazza. E, proprio
nell’esplosione, le si augura una via di fuga.
Ora arriva il difficile, spiegare la scrittura di Wallace.
- Dialoghi serrati intervallati da silenzi rappresentati sulla pagina: …
- Dialoghi senza indicazione dei parlanti, di chi domanda e di chi risponde, senza preamboli e senza didascalie.
- Dialoghi infestati da intercalari e ridondanze.
- Monologhi interiori e monologhi esternati.
- Verbali.
- Spezzoni di racconti cassati, spediti a una casa editrice.
- Racconti ri-raccontati.
- Spezzoni di sceneggiature
- Testi di trasmissioni televisive.
- Resoconti di sedute psico-analitiche.
- Frammenti.
Questo libro è la prova INVALSI per lettori esperti. Un
testo misto, volutamente disordinato, che gioca con le ambiguità del
linguaggio, che dissemina informazioni fondamentali alla ricostruzione della
trama in un magma di superfluo, in uno show senza fine che ci getta nel cuore
dell’americanità pura fatta di college, affari, slang, marijuana, bulli, pupe, santoni, nevrotici, stereotipi,
obesi stratosferici, business immorali, trionfo del pacchiano, dell’abnorme,
del posticcio – senza la quale questo libro non avrebbe la sua carica micidiale
di sarcasmo e genio. Che ti fa ridere da solo, straniato e stordito.
E nonostante tutte queste risate, non aspettatevi nulla di
comico. La scopa del sistema è come il teatro dell’assurdo, si costruisce sul
tragico, sul baratro dell’incomunicabilità, sull’impossibilità di dare un senso
univoco e assoluto alle parole. E non conclude.
Zoom:
Posto d’onore, nel mio cuore di lettrice, spetta a Vlad l’Impalatore: one-man-show, un
pappagallo che ha imparato a parlare in una notte sola “Usami. Soddisfami come mai prima d’ora”, genio della parola che
comunica ma non dice “Santo, santo” "Devo fare ciò che è giusto per me come persona".
Dietro di lui ci metto oggi tutta la televisione, le frasi fatte, le opinioni della gente, i
luoghi comuni, i proclami, il peggio del giornalismo, i blog moltiplicatisi
all’infinito, le interiezioni dei social network, i messaggi di wathsapp, le
interviste dei calciatori, gli insulti dei troll in rete, le citazioni che non
citano l’autore, i copia e incolla, le parole chiave, i tag, gli hashtag, i
manifesti, i comizi, la pubblicità, la neo-lingua- tutto il rumore di fondo che ci stordisce e
ci allontana dal senso - non solo dal
buon senso.
Non è un caso che Vlad l'Impalatore impazzi in TV con un nome che parla: Ugolino il Significante, cioè forma pura, non significato.
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